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Giorno memoria, Figli Destino, storia 4 bambini per non dimenticare

su Rai1 il 23/1 Segre, Foa, Levi, Cava, e le loro città

 A Napoli, Tullio Foa e sua madre vengono aiutati da un Commissario di Polizia. A Roma, Lia Levi e sua madre ospitate in un convento; uno dei tanti istituti religiosi che durante la guerra diedero rifugio agli ebrei. A Pisa, il piccolo Guido Cava, nascosto in campagna insieme al padre e colpito dalla polmonite, viene salvato da un medico fascista che, pur sapendo la famiglia ebra, rischia la propria vita per curarlo. A Milano per Liliana Segre il destino è più crudele. Lei e suo padre, arrestati mentre cercano di fuggire in Svizzera, vengono deportati.
Separata dal genitore, Liliana riesce a sopravvivere da sola nel campo di concentramento di Auschwitz e alla "marcia della morte". Figli del Destino è la docu-fiction- in onda mercoledì 23 gennaio alle ore 21.25 nella settimana del Giorno della Memoria (27 gennaio) - che ricostruisce le storie di quattro bambini italiani ebrei vittime dell'orrore e della vergogna delle leggi razziali. Un racconto, che si mescola con le toccanti interviste dei quattro protagonisti oggi, con la regia di Francesco Miccichè e Marco Spagnoli. La voce narrante che intreccia le storie è di Neri Marcorè attraverso il quale si snodano gli eventi più significativi che hanno portato l'Italia dentro una vergognosa pagina di storia. Le immagini storiche sono fornite dal CDEC (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), dall'Istituto Luce - Cinecittà, da Rai Teche e dal United States Holocaust Memorial Museum. Un soggetto dello stesso Spagnoli che ha scritto la sceneggiatura insieme a Luca Rossi. Con Massimo Poggio, Patrizio Rispo, Chiara Bono, Giulia Roberto. Catello Alfonso Di Vuolo, Lorenzo Ciamei e con Massimiliano Gallo e con la partecipazione di Valentina Lodovini.
"La memoria è il fondamento identitario del nostro Paese" dice Tinni Andreatta, direttrice di RaiFiction, che ha prodotto il lavoro con RedFilm.
Il regista Spagnoli spiega che il punto di vista è quello dei bambini, non a caso "le macchine da presa sono state abbassate un po'". Poi aggiunge che importante è stato raccontare il dopo delle persecuzioni. È la storia di quattro bambini tutti italiani, alcuni di loro neanche sapevano di essere ebrei". In un video messaggio la senatrice Liliana Segre ha evidenziato: "prima di vedere la docufiction pensavo che mi sarei turbata e molto di più di quanto mi aspettassi, invece dovevo arrivare alla mia veneranda età per capire che il lato importante è la gioia dei tre ragazzi salvati da belle persone, anche se io ho avuto un destino diverso da loro". Tullio Foà ricorda come a Napoli, all'epoca aveva solo 5 anni, grazie al preside, che lo fa ammettere in una classe speciale (formata da dieci alunni ebrei), dichiarando che ne aveva 6, continua a frequentare. "Andavo a scuola coi miei fratelli più grandi, qualcosa non mi tornava. Tutti i bimbi entravano dal cancello principale solo noi da quello secondario, un quarto d'ora prima degli altri. A quel punto era chiaro che gli anormali eravamo noi". "E' importante continuare a portare la nostra testimonianza ancora oggi, aggiunge Foà nelle scuole a distanza di tanti anni. Una delle domande che mi fanno nelle scuole è se mi sono mai voluto vendicare. Io rispondo che la vendetta non mi appartiene. Quello che occorre ricordare è che le leggi razziali non erano leggi all'acqua di rose, ma precise e decise. Lo scopo era dividere le famiglie". "Guardando la docufiction - spiega Lia Levi - mi identifico nei genitori. I miei all'inizio mentirono non dicendomi la verità pensando di farmi del bene, facendomi, invece, del male" Massimo Poggio interpreta il papà di Liliana Segre, Alberto: "A volte si ha la tentazione di chiedersi 'ma è possibile che sia accaduto tutto questo?. È fondamentale che le persone che hanno vissuto direttamente questa vicenda lo raccontino. La paura è di non dare una ricostruzione fedele e di mancare di rispetto. Mi sono avvicinato al lavoro in modo molto cauto; non ho avuto modo di interagire con Liliana Segre". Massimiliano Gallo: "La Rai è servizio pubblico, questo tipo di lavori dovrebbe fare, non soltanto intrattenimento". "Stiamo attenti, la storia dovrebbe insegnarci a non rifare gli errori fatti. L'intolleranza è pericolosa" conclude.

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