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ArcelorMittal: Conte a Taranto fino a notte, troveremo soluzione

Terminato lo sciopero, lavoratori in attesa di sviluppi

E' terminata dopo l'una della notte scorsa la visita a Taranto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha incontrato prima cittadini e portavoce di comitati e movimenti, poi ha avuto un confronto con lavoratori e sindacati nel consiglio di fabbrica dello stabilimento siderurgico, quindi si è recato in prefettura e dopo un punto stampa ha incontrato il procuratore, Carlo Maria Capristo, i sindaci dell'area tarantina e gli ambientalisti. Infine, si è recato al rione Tamburi, il più esposto alle emissioni del Siderurgico. Le associazioni hanno consegnato al premier copia del 'Piano Taranto', una piattaforma di rivendicazioni che chiede la chiusura delle fonti inquinanti e la bonifica del territorio con il reimpiego degli stessi operai e lo sviluppo di una economia alternativa. "Ho visto lavoratori - ha detto il presidente del Consiglio - che lavorano ma allo stesso tempo pensano di fare qualcosa di sbagliato e vivono con disagio nella comunità dei parenti che li attacca perchè contribuiscono a tener vivo uno stabilimento che altri in famiglia vorrebbero chiudere. Si deve aprire un cantiere e tutti dobbiamo lavorare per portare contenuti".

Quando ha terminato la sua visita Conte ha scritto un post su Facebook precisando di aver deciso di incontrare lavoratori e cittadini per rendersi conto personalmente della situazione che vive la comunità tarantina. "Ho visitato - ha osservato - lo stabilimento, ho ascoltato gli operai, i cittadini, gli esponenti di associazioni e di comitati, gli amministratori locali. Ho voluto questo confronto per capire meglio, per ascoltare le ragioni di tutti. Mi sono confrontato con il dolore di chi piange la perdita dei familiari, con l'angoscia di chi sente di vivere in un ambiente insalubre, con la sfiducia di chi ha perso un lavoro, con l'incertezza di chi ha il lavoro ma non è certo di conservarlo domani. Non sono venuto con una soluzione pronta in tasca, non ho la bacchetta magica, non sono un supereroe". Quello che "posso dirvi - ha puntualizzato il presidente del Consiglio - è che il Governo c'è e con l'aiuto e la collaborazione di tutti, dell'intero 'sistema-Paese', farà di tutto per trovare una soluzione. Di tutto". E poi ha assicurato: "tornerò presto a Taranto".

Ma una "soluzione in tasca" per l'ex Ilva ancora non c'è. Alla scadenza delle 48 ore, intimate dal governo ad Arcelor Mittal per tornare sui suoi passi, ad ammettere che servirà ancora tempo è il premier Giuseppe Conte, affrontando l'ira e lo sconforto di operai e cittadini di Taranto davanti ai cancelli dello stabilimento. L'azienda per ora tace, nonostante il pressing di tutto il governo che è compatto sull'indicare la trattativa con Mittal, per ora, come la strada maestra da percorrere per risolvere la crisi. La giornata è stata segnata dallo sciopero di 24 ore indetto dai sindacati, da Jindal, a capo della vecchia cordata concorrente, che si è definitivamente sfilata e da Moody's che ha avvisato Mittal del rating a rischio se non si perseguirà, velocemente, la strada dell'addio all'acciaieria italiana. Ma sulla scena si affaccia, accanto all'estrema ratio della nazionalizzazione, anche l'ipotesi di un nuovo interesse, questa volta dalla Cina, nei confronti del polo siderurgico. Ci sarebbero contatti, solo informali, ma nel carnet delle mosse per uscire dall'empasse, ci sarebbe anche l'idea di indire una nuova gara. "Non ho la soluzione in tasca, vedremo nei prossimi giorni" ha detto Conte circondato da una folla che, a gran voce, chiede la chiusura dello stabilimento. Solo qualcuno accenna alla possibilità di una riconversione, con il conseguente impiego degli operati per la bonifica.

E comunque, senza concedere un nuovo "scudo" penale. Se servisse a togliere "alibi" a Mittal per giustificare l'abbandono dell'acciaieria, è il ragionamento che si fa nel governo e nella maggioranza in queste ore, si potrebbe anche immaginare di ripristinare una 'copertura', estesa e non esclusivamente per il caso dell'ex Ilva. Ma la questione è bollente, perché rischierebbe di spaccare il Movimento 5 Stelle e di mettere pericolosamente in bilico l'esperienza giallorossa. Tanto che anche Italia Viva, che per prima aveva annunciato un emendamento al decreto fiscale aspetta di vedere come si evolverà la situazione nelle prossime ore. "La Lega che cura i suoi interessi in borsa presenta un emendamento, ma che lo presentino anche partiti della maggioranza senza un accordo è un problema" dice il leader M5S Luigi Di Maio lanciando un avvertimento al Pd e sferrando allo stesso tempo una stoccata all'ex alleato ("non abbiamo bond di Mittal" sono pronte "querele" la risposta della Lega).

Di Maio resta convinto che sia necessario "obbligare Arcelor Mittal a restare a Taranto". Chiedere di andare via, attacca il ministro degli Esteri, "è un'azione inaccettabile che non è presupposto per il dialogo. Mettere sulla strada 5.000 persone mi sembra assurdo". Ora l'azienda, si sta "rimangiando" l'accordo ma non può pensare che "le cambiali le paghi lo Stato". Mittal "adempia ai propri impegni, deve sviluppare investimenti, il piano ambientale, il piano industriale che si è impegnata a portare avanti", dice anche il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, precisando che al momento "questa è la prospettiva del governo". Il piano A che per il momento va perseguito fino in fondo, facendo tutto il possibile per sventare un esito drammatico per l'area di Taranto e per il Paese. La nazionalizzazione, insomma, resta sullo sfondo, anche se è lo stesso ministro dello Sviluppo economico, che in questo momento ha in mano la trattativa insieme al premier, ad ammettere che non è più un "tabù", mentre per il ministro pugliese degli Affari Regionali, Francesco Boccia, l'acciaio resta "strategico" e "se il mercato fallisce non è uno scandalo ma semplicemente giusto che se ne occupi lo Stato". Certo, non bisogna dimenticare che un ingresso dello stato potenzialmente sarebbe in contrasto con le regole comunitarie, ma è una strada da percorrere in assenza di un accordo, dice l'ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: l'istituto per primo ha accolto la richiesta arrivata dai sindacati, e sostenuta dall'Abi, di sospendere, per un anno, le rate di mutui e prestiti per i lavoratori e i fornitori del gruppo.

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