L'analisi del 'caso' Verona, col
centrosinistra tornato maggioranza dopo 15 anni, non è facile -
servirà vedere i flussi sezione per sezione - ma per il
politologo Paolo Feltrin la prima lettura sulla debacle del
centrodestra è che "stare in due scarpe non premia". Feltrin,
già docente di scienze politiche all'Università di Trieste,
profondo conoscitore delle dinamiche elettorali in Veneto, non
definisce però "storico" il risultato di Verona. "Il precedente
in terra scaligera già c'era - spiega al quotidiano 'L'Arena' -
, con l'amministrazione Zanotto. Anch'essa nata da una divisione
del fronte opposto". Vent'anni fa, infatti, Michela Sironi,
che guidò per due mandati il Comune con le insegne di Forza
Italia, lasciò il partito di Berlusconi per sostenere il
candidato progressista, Paolo Zanotto, il quale poi vinse. "Si
conferma una regola aurea: chi si
divide perde. Anche se pare che nel Movimento Cinque Stelle non
lo capiscano", osserva l'analista, guardando per un momento al
quadro nazionale. Più arduo invece capire dove siano finiti al
ballottaggio, tra Tommasi e Sboarina, i 25mila voti di Flavio
Tosi (escluso dal secondo turno). Senza i dati delle singole
sezioni, Feltrin può solo azzardare una stima 'grossomodo':
sembrerebbe, quindi, "che della dote elettorale
di Tosi, circa 25 mila voti, settemila siano finiti a Tommasi,
altri ottomila a Sboarina. Gli altri dieci...., pare
semplicemente non ci siano stati. Elettori rimasti a casa". E'
sicuro, tuttavia, che se il candidato di 'Rete' (la coalizione
di Tommasi) "non avesse intercettato i consensi anche
da parte di alcuni sostenitori dell'escluso dal ballottaggio
avrebbe rischiato, magari, di perdere".
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