(di Paolo Petroni)
(ANSA) - ROMA, 08 GEN - SIMONA VINCI, ''L'ALTRA CASA''
(EINAUDI, pp. 376 - 20,00 euro). Le case come luoghi di memoria,
luoghi che, per chi li conosce e abita, hanno una loro anima.
Andrea Bajani, in ''Il libro delle case'' ci ha mostrato
quest'anno come seguendo i luoghi in cui si è vissuti si può
ritrovare se stessi, ora Simona Vinci con questo ''L'altra
casa'' costruisce una storia di compenetrazione, di simbiosi tra
chi si ritrova tra le mura di una vecchia villa e ne esplora i
meandri, ne accetta spazi aperti e spazi celati, abbandonandosi
alle scoperte, ricostruendo e sentendone viva la storia.
Per scrivere questo romanzo più che fantastico, misterico
psicologicamente, non a caso ha scelto una storica villa vera,
che conosce da sempre e ha frequentato vicino a dove e vissuta,
Budrio, guardandola nel tempo anche come villa archetipo della
casa misteriosa della letteratura gotica. Quella nota come Villa
Giacomelli, dal nome del proprietario di un tempo, il baritono
Astorre Giacomelli, marito della celebre mezzosoprano Giuseppina
Pasqua (1851 - 1930), artista prediletta di Verdi che quella
casa frequentò. Così ecco che la nostra odierna protagonista di
fantasia, Maura Veronesi, è un soprano noto che sta vivendo un
momento di crisi e, dopo un'operazione alla gola, non sa se
tornerà ad avere la voce di prima. In villa arriva per riposarsi
e rieducare la voce, in vista della serata del suo ritorno sulla
scena, dedicata alla Pasqua proprio in quel luogo dove visse e
morì, secondo un'idea di Fred, impresario, agente e pure amante
di Maura, avendo una moglie che non lascia. Perché non si
affatichi e si eserciti le mette al fianco Ursula, una pianista
russa dalla tragica infanzia e una vita segnata dal dolore, che
dovrà anche accudirla, occupandosi delle sue cure mediche, della
casa e della cucina. Con loro sono principalmente un anziano
giardiniere custode, una architetto che periodicamente viene a
verificare di quanto cedano le crepe (reali e metaforiche) nei
muri della villa.
Maura, uno dei primi giorni, si ferisce a un dito che si
succhia: ''il sapore del sangue le era sempre piaciuto. Da
Piccola si era pure convinta di poter distinguere il sangue di
una persona da quello di mille altre, e il sapore di quello
umano da quello delle bestie.... In una di quelle vite che
risalivano indietro nel tempo.... forse era stata una strega''.
Ecco quindi subito che piani temporali diversi hanno punti di
unione e si passano segni, ricordi, esistenze. E presto vedremo
che tutta la storia, in particolare quella di Maura, manche
quella di Ursula, vive di questi sfasamenti, non come flashback,
ma come momenti paralleli o contigui. Così dalla primavera del
2019 si finisce nell'autunno 1905, i giorni in cui Albert
Einstein formulò la teoria della relatività ristretta, da cui si
deduce che ''anche il tempo è relativo. Perché dipende dalla
velocità con cui è misurato'', insomma ''muta a seconda di come
ci si muove''.
E' per questo, perché basta saperla sentire, che c'è una
continuità nella storia anche dei luoghi e della villa in
questione, che si popola di rumori inquietanti, di scricchiolii,
passetti che si odono dentro le sue mura. E Maura, come un
diapason, finisce per risuonare di quel che nel posto c'è ancora
di vivo della sua antica collega Pasqua. Così, quel che le
capita di meraviglioso e inquietante e che pare qualcosa di
reale così come lo racconta la Vinci, potrebbe anche sospettare
sia di quella solidissima realtà di cui son fatti i nostri
fantasmi interiori, il nostro inconscio. Una narrazione quindi
che, se non si accetta questa dimensione, può lasciare perplessi
in un susseguirsi di ombre e presenze composte di cose vere,
della villa, del suo grande parco, di oggetti (compresa una tuba
che fu di Verdi) rinvenuti negli armadi o in soffitte, ma anche
di tutti i desideri, le idee, i progetti che chi vi visse ha
fatto e perseguito.
Un romanzo particolare, inusuale, con una scrittura fatta di
scarti, di passaggi da parole o pensieri o azioni di uno a
quelli di un altro personaggio, racconto sottile e inquieto che
avvolge chi non lo rifiuta, chi sa anche per esperienza
personale quanto peso abbiano gli atti mancati e che spesso
proprio in quelli, e nel rapporto che hanno con ciò che invece è
stato, si può ritrovare il senso e l'anima, il mistero di
un'esistenza. ''Il mistero è qualcosa che può essere messo in
scena, in parole, in musica, indagato e poi mescolato
all'immaginazione, perché questo fa la letteratura - ha spiegato
a suo tempo l'autrice, parlando di questo suo libro - cerca
nuclei di verità falsificando, e di certo qualcosa rivela, ma
non spiega''. (ANSA).
Simona Vinci e la vita di una villa
Romanzo di voci, ricordi, presenze che attraversano il tempo
