"Se a Lampedusa avessimo messo mani e
pensieri 25-30 anni fa, forse non saremmo arrivati a questo".
Per dieci anni, tra il 2003 e il 2012 con il festival O' Scià,
Claudio Baglioni si è impegnato in prima persona sull'isola
siciliana per sensibilizzare sul problema dei migranti esploso
nuovamente in tutta la sua gravità in queste ultime settimane.
"È una storia lunga 30 anni, ma non possiamo cambiare la
geografia. Ora sono cavoli per tutti. Bisogna solo attrezzarsi a
poter trovare una soluzione, senza che questi argomenti
diventino ancora una volta materia per scopi elettorali, perché
altrimenti non se ne viene fuori - continua il cantautore, dopo
la prova generale del suo nuovo live aTUTTOCUORE, che il 21
settembre debutta allo Stadio Centrale del Foro Italico a Roma
-. Questa è una questione che tocca tutti, ma nessuno ha mai
messo in atto una soluzione vera".
O' Scià fu un appuntamento che ottenne riconoscimento e
plauso anche fuori dai confini nazionali, ma dalle parole di
Baglioni traspare un po' di amarezza. "Con quella rassegna
abbiamo cercato di dire a un'opinione pubblica che era lontana
che quelle cose accadevano già venti anni fa. Ma alla fine mi
sono sentito sconfitto: i contributi bisognava faticarseli ogni
anno e quella è stata un po' una delusione perché pensavamo di
aver costruito qualcosa di diverso e di importante, che andavo
oltre il torneo di bocce con il quale eravamo in gara per gli
stessi fondi, Mi sono sentito sconfitto perché non è cambiato
niente. E nel mondo non c'è solo Lampedusa perché le persone si
muovono in cerca di situazioni migliori per la loro vita. Non
possiamo condannare chi lo fa e non possiamo nemmeno condannare
chi non ne può più. Come la guerra: vincono solo i potenti, il
popolo coglione deve solo cercare di scansare la palla di
cannone", chiosa l'artista mestamente.
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