E' forse il cold case per eccellenza:
l'omicidio di Simonetta Cesaroni, uccisa con 27 coltellate il 7
agosto del 1990 in via Poma a Roma. Un giallo che non ha ancora
un colpevole a distanza di 32 anni. Indagini, processi e un
infinito numero di piste investigative non sono riusciti a dare
un nome a chi uccise, in modo brutale l'allora ventenne, in un
appartamento al terzo piano di uno stabile nel cuore del
quartiere Prati, nell'ufficio dell'Associazione alberghi della
gioventù. Ora la Procura di Roma ci sta riprovando con un nuovo
procedimento avviato da qualche mese dopo una denuncia
presentata dai familiari della ragazza.
Il fascicolo in una prima fase è stato aperto come modello 45,
ossia senza indagati o ipotesi di reato ma poi è stato
incardinato per omicidio volontario contro ignoti, stato in cui
attualmente versa.
Sono state svolte una serie di audizioni dalle forze dell'ordine
a cui i pm di piazzale Clodio hanno affidato le indagini. Ad
essere ascoltate anche persone entrate in contatto, in passato,
con personaggi lambiti della indagini. Al centro degli
accertamenti un sospettato che già all'epoca dei fatti finì nel
mirino degli investigatori. Al momento però, in base a quanto
riferiscono fonti inquirenti, non è emerso "nulla di nuovo e
rilevante" rispetto a quanto accertato negli anni.
L'attività dei pm viaggia parallela con quella della commissione
parlamentare antimafia che nelle settimane precedenti alla crisi
di governo e allo scioglimento delle Camere ha avviato una
istruttoria sul caso. Un faro acceso su eventuali depistaggi
messi in atto per sviare gli inquirenti e rendere impossibile
l'accertamento della verità. I parlamentari hanno acquisito
carte e proceduto anche ad alcune audizioni, comprese quelle di
alcuni familiari di Simonetta.
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