''La maggior parte delle diagnosi di melanoma avviene nei primi stadi della malattia, quando un semplice intervento chirurgico di asportazione del neo può essere risolutivo. Quando però il tumore si diffonde ad altri organi, la gestione della malattia diventa più complessa. Fino a pochi anni fa non esistevano armi realmente efficaci contro il melanoma in fase avanzata, oggi invece grazie all'immuno-oncologia il 20% dei pazienti è vivo a 10 anni dalla diagnosi ed è possibile affrontare casi molto particolari come il melanoma oculare''. Il presidente nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Carmine Pinto, sottolinea i passi avanti delle cure negli ultimi anni rilevando come l'immunoterapia abbia mostrato effetti positivi anche nel trattamento di forme tumorali complesse.
''Nel trattamento del melanoma - spiega - l'immuno-oncologia rappresenta sicuramente un caso unico, che ha fatto scuola. Questo tumore è diventato il modello sperimentale ideale per lo sviluppo di questo nuovo approccio. Le cellule del melanoma mostrano una sensibilità generalmente limitata ai farmaci convenzionali e alla radioterapia. Questo ha inciso in modo molto marcato sulle opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti colpiti da questa neoplasia, ma i notevoli progressi compiuti nella comprensione dell'immunobiologia, uniti alle recenti scoperte dei meccanismi fisiologici che regolano l'attività del sistema immunitario e le sue interazioni con il tumore, hanno permesso di sviluppare nuove armi, i cosiddetti anticorpi monoclonali immunomodulanti.
Rispetto al trattamento con terapie target, un farmaco immuno-oncologico non genera risultati visibili nell'immediato, perché non colpisce direttamente le cellule tumorali, ma attiva il sistema immunitario per ottenere la risposta desiderata. Il reale beneficio clinico non deve quindi essere valutato nei tempi e con le metodiche standard della terapia oncologica 'classica'. Infatti è possibile notare un iniziale aumento della massa tumorale, seguito solo in un secondo tempo da una riduzione. In generale, possono trascorrere anche 16- 20 settimane perché si possa evidenziare radiologicamente una risposta. Una volta che ciò è avvenuto, però, si instaura una 'memoria immunologica', per cui le risposte o le stabilità di malattia possono essere durature nel tempo, con un chiaro impatto sulla sopravvivenza dei pazienti''.
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