(di Francesco De Filippo)
(ANSA) - TRIESTE, 21 MAR - ORAZIO COSTA (A CURA DI MARICLA
BOGGIO), VIAGGIO IN INDIA (Bulzoni Editore, 375 pagg., 32 euro).
Nel 1968 Pasolini gira "Appunti per un film sull'India". Nel
Paese asiatico va in giro ad intervistare maharaja, giornalisti,
santoni e perfino intoccabili ponendo la stessa domanda: si
sacrificherebbe per sfamare dei tigrotti che muoiono di fame? Un
tema ripreso da una antica parabola. Piazzando il microfono,
affronta anche i temi del terzo mondo come religione e fame.
Nello stesso anno anche i Beatles, stanchi dello star system e
alla ricerca di nuovi stimoli, si trasferirono in India con
moglie e compagne e staff. Altri, famosi e no, ne avrebbero
seguito l'esempio. In silenzio e con un approccio tra
l'antropologo e il turista critico, otto anni prima, per sei
mesi, una sorta di guru italiano, Orazio Costa Giovangigli,
aveva attraversato il Paese in lungo e in largo dall'ottobre
1960.
Assistente a Parigi di Jacques Copeau, Costa divenne docente
all'Accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico, fu maestro di
generazioni di registi e attori, tra i quali Manfredi, Volonté,
Giannini, ma anche Gabriele Lavia, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo
Cascio. Oltre a Maricla Boggio, ebbe un altro allievo
prediletto, Andrea Camilleri, di cui anche nel libro ci sono
riferimenti.
Non differentemente da quanto fece per l'intera sua vita - al
termine della quale lasciò 46 Quaderni - Costa ogni sera
trascrisse in un diario - i Quaderni 9, 10, 11, 12 - quanto
visto e provato e l'oggetto del suo studio: approfondire danze e
spettacoli indiani per conto dell'Unesco. Quell'esperienza è
oggi un libro, curato proprio dalla Boggio, 'Viaggio in India'
(Bulzoni). Costa si sofferma sui particolari: il trucco degli
attori, la lunga preparazione, il teatro kathakali - ma annota,
appunta, fissa immagini della povertà che ha incontrato in una
madre con un neonato, in un lebbroso dalle carni consumate dalla
malattia. La povertà è tale che "non si fa che rasentare la
realtà", scrive a Nuova Delhi il 4 Novembre. Una disperazione
tacita e rassegnata che implora fastidiosamente un'elemosina e
che cozza con la grandiosità dei templi, con la generosità di
tanti. Costa descrive donne che lavano le pentole, i santoni che
girano nudi e coloro che con naturalezza fanno i bisogni in
luoghi pubblici. Un universo di folla e confusione. Gli appunti
hanno due elementi caratterizzanti: la descrizione dei sogni e i
pensieri sulla e rivolti alla madre (all'epoca già scomparsa).
Che il soggiorno in India - dall'Uttar Pradesh all'Hindustan,
dal Kerala al Golfo del Bengala, dall'Orissa al Maharashtra in
un moltiplicarsi esponenziale di chilometri - fosse anche la
ricerca di qualcosa, Costa lo dice in un paio di righe: in un
viaggio asincrono precedeva la madre che da giovane aveva
desiderato andare in India ma non le fu permesso. "Ora sono qui
e aspetto e Ti aspetto e ti chiamo. Verrai?". Non avrà risposta:
la madre era già scomparsa da prima che lui partisse; e non
l'avrà nemmeno dopo l'atteso incontro con Madre Teresa di
Calcutta, per quanto intenso. Ma il libro è ricco di pensieri e
riflessioni: sulla poesia - "definire per approssimazione
l'indefinibile" - sulla musica, sugli scritti di Gozzano (in
India nel 1912) e di Guenon sull'India - che pubblicò un libro
sul Paese nel 1932 senza esserci mai stato - e soprattutto sui
valori dell'arte - ormai staccata dalla realtà -della
tradizione: se in India è un concetto solido e preciso, in
Occidente la tradizione è soggetta a un continuo processo di
revisione; ebrei esclusi, "gli unici che in Europa vantano la
documentazione della loro rivelata Tradizione", proiettata però
nel futuro in quanto non perfetta e in attesa di conclusione.
(ANSA).