/ricerca/ansait/search.shtml?tag=
Mostra meno

Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

La parola della settimana è guerra (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è guerra (di Massimo Sebastiani)

Perché ne abbiamo fatto una metafora-chiave del modo di pensare e quindi di esprimerci?

03 marzo 2024

Redazione ANSA

ANSACheck
'Guerra ', la parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA
'Guerra ', la parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

'Guerra ', la parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Ci siamo occupati di questa parola la prima volta in piena ondata Covi ed era per sottolinearne l’uso, forse eccessivo, come metafora e non in contesti per i quali era nata (la seconda guerra mondiale, la guerra in Vietnam, la guerra in Afghanistan). Piuttosto, in uso disinvolto del discorso quotidiano: la guerra all’inflazione, la guerra dei sessi, la guerra al virus. Ed è in questo senso che è stata usata in tante canzoni per esempio, compresa quella in cui Francesco De Gregori chiedeva ‘E adesso dimmi quando finirà la guerra?’ con riferimento al clima sociale di metà anni ’70 in cui poteva capitare che il pubblico fermasse l’esibizione di un cantautore aggredendolo fisicamente e minacciandolo di morte, come capitò proprio a lui nel 1976.

L’invasione dell’Ucraina da parte dei russi ci aveva riportato alla cruda realtà dell’uso concreto di questa di questa parola, spingendoci a riproporla. La guerra a Gaza, seguita all’attacco di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre 2023 e la minaccia nucleare del Putin pre-elettorale e tuttora impantanato in Ucraina a distanza di oltre due anni ci fanno tornare ancora su questa parola.

 Ascolta "Guerra (pubblicata nell’aprile 2022)" su Spreaker.

 Perché ne abbiamo fatto una metafora-chiave del modo di pensare e quindi di esprimerci? Perché ci viene facile parlare di vaccini come armi e trincee? E perché torniamo ad usare una delle espressioni più controverse degli ultimi decenni e cioè ‘guerra giusta’? Sembra che questo sia iscritto nel destino e nell’evoluzione della nostra stessa storia. Secondo il filosofo Emanuele Severino, scomparso nel gennaio del 2020, la guerra non è questa o quella, non è una guerra particolare ma è addirittura il modo in cui l’Occidente guarda le cose. Sulla questione dell’Occidente torniamo tra un attiamo ma intanto vediamo come Severino spiega la sua affermazione. Avendo rinunciato alla verità assoluta, l’Occidente avrebbe liberato il cosiddetto gioco delle volontà di potenza dando quindi al nostro pensiero e al nostro modo di agire la forma strutturale della guerra: se c’è volontà e se c’è potenza non può che esserci contrapposizione costante. Che poi si svolga con cannoni e bombe atomiche, con operazioni di spionaggio e avvelenamenti o raffiche (per restare alle metafore belliche) di fake news (che, come vediamo ogni giorno, sono parte integrante anche della guerra vera), è soltanto un cinico dettaglio dello spirito dei tempi.

 

Ecco perché non possiamo non dirci guerrieri. Anche se, per capire la differenza tra Occidente e Oriente, ammesso che ancora oggi questa differenza ci sia, basta mettere accanto i due più celebri trattati sulla guerra, quello del cinese Sun Tsu e del generale prussiano Carl von Clausewitz: il primo punta su tecniche dissuasive e ingannevoli, il secondo sull’annientamento violento dell’avversario. Nonostante questo, l’orientale Sun Tsu è spesso impiegato nella occidentalissima strategia di pianificazione aziendale e citato più spesso dai diavoli della finanza d’assalto che dai Navy Seals. Ma chi, all’origine della nostra storia, ha insegnato al mondo come fare la guerra, cioè i Romani, la chiamava in un altro modo: bellum. Curiosamente, la parola che invece è prevalsa è proprio quella dei nemici e dei distruttori del più grande impero dell’antichità occidentale. Guerra deriva infatti dal germanico werra ed è una parola barbara, introdotta dai popoli del Nord che ridussero l’impero romano a poco più di un deserto. Ha un suono più indicato per quello che vogliamo esprimere ancora oggi e in origine significa mischia, confusione.

Ecco forse perché, inconsapevolmente, ci piace così tanto usarla anche a proposito del coronavirus o in altri contesti non bellici, e perché facciamo un uso così generoso di parole derivate usando termini come guerriero e guerriera ogni volta che si tratta di sottolineare l’approccio alla vita di qualcuno, magari alle prese con una malattia. La realtà è che, evidentemente, come ha spiegato Severino, non possiamo farne a meno: nessuno, come dice un altro filosofo che ogni tanto citiamo, Friedrich Nietzsche, ‘salta oltre la propria ombra’. Nonostante il fatto che l’uso di questa parola in certi contesti, come è stato sottolineato, non solo diventi sempre più improprio ma addirittura impedisca un approccio corretto alla ‘battaglia’ che si deve sostenere, distogliendoci da quegli elementi di conoscenza che ci permettono di vedere per esempio la malattia per quello che è e dunque di demitizzarla, come è stato ricordato in un bell’articolo pubblicato sul sito di Wired da Francesca Modena citando Susan Sontag, la scrittrice americana autrice fra l’altro di ‘Malattia come metafora’ e ‘L’Aids e le sue metafore’.

Certo guerra non sembra la parola più adatta alle festività pasquali così come non sembrava adatta oltre un anno fa a quelle natalizie. Eppure una delle canzoni più dolci e cantate da 50 anni a questa parte è proprio quella ‘Happy Xmas’ che ha come estensione del titolo ‘War is Over’, la guerra è finita, uscita dalla penna e dal genio di una coppia che quelle metafore proprio non le amava: John Lennon e Yoko Ono.

 

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

Condividi

O utilizza