Paolo Petroni
Se si parla di ''Macchine'' in senso
ovviamente lato, come accade quest'anno al Festivalfilosofia, al
centro delle lezioni magistrali c'è oggi ovviamente
l'elettronica e inevitabilmente quell' AI - Intelligenza
artificiale di cui tanto si parla e ''che sta cambiando il
mondo'', come dicono subito Paolo Benanti, frate teologo e
grande studioso della gestione delle innovazioni nell'era
digitale tra l'America e l'Europa, e Jeffrey Schnapp, esperto di
robotica e Ai, docente a Harvard e collaboratore di grandi
aziende.
Tutte le attività - spiegano con una sintonia di fondo - da
quelle mediche alla sicurezza nazionale, stanno trasformandosi
profondamente grazie alle Ai, dando luogo a sistemi, cobot o
robot, completamente autonomi. Le Ai non sono più software
programmati che fanno solo quello per cui sono stati realizzati,
ma sistemi addestrati, capaci di rispondere autonomamente a un
problema che gli viene posto. Ci si interroga allora su quale
sia il loro metodo nel prendere decisioni, strettamente legato
alla quantità di dati che hanno immagazzinati. Naturalmente non
è possibile abbiano tutti, in assoluto, i dati esistenti,
abbiano un database perfetto (la perfezione non esiste per
definizione) per fra scelte perfette, quindi sono soggetti a
errori anche gravi e sarà difficile utilizzarle per molte cose.
Per Schnapp, per esempio, anche per la guida senza conducente in
un centro densamente popolato come una città dalle troppe
varianti imprevedibili da una macchina dall'intelligenza senza
flessibilità, mentre dovrebbe funzionare bene in autostrada.
Queste macchine, questi sistemi, che Benanti chiama
''macchine sapiens'', oltre che sui database lavorano sui propri
sensori che prendono ovviamente solo porzioni di realtà
trasformandole in dati ulteriori. E allora conclude: ''siccome
le Ai fondano le loro decisioni sui dati e poiché questi non
sono una copia perfetta della realtà la macchina sapiens non
sarà ovviamente infallibile e questo appunto rende assolutamente
necessario un approccio etico condiviso per evitare si producano
azioni e decisioni che possano danneggiare le persone, creare
disequilibri a livelli individuali e sociali''.
Si pone insomma una questione etica legata alla necessità di
riuscire a gestire questa straordinaria innovazione con
algoritmi legati a principi positivi. Insomma deve nascere una
''algor-etica'', essendo l'Ai cosa differente e che supera il
concetto cui sono legati tutti gli artefatti da noi prodotti
sino a oggi, che consentono all'uomo di svolgere alcuni compiti
meglio e con meno fatica, secondo un unico preciso scopo per cui
erano stati progettati.
Il pericolo, davanti a simili innovazioni progettate con
algoritmi complessissimi e sempre più difficili da decifrare, è
che si nutra una tecnofobia deleteria, contro cui prende
posizione Roberto Esposito. Allora appare interessante la
visione diciamo ottimistica di un filosofocome Maurizio
Feraris, docente di filosofia teoretica Torino, di fronte al
pessimismo delle visioni del mondo tecnologico professato e
ribadito da Umberto Galimberti. Ferraris contrappone l'anima,
l'essere vivente, alla macchina. Il primo conosce solo un On e
Off definitivi, mentre la seconda può averne infiniti, ma sempre
legati all'imput che viene dall'uomo. Temiamo le macchine ci
portino via il lavoro: è vero per Ferraris e sempre di più, ma
per liberarci da fatica e noia visto che noi oramai non siamo
più produttori di oggetti (che le macchine fanno prima e meglio)
ma di informazioni, di un numero incommensurabile di documenti
di cui si nutre il sistema digitale mondiale oggi, e le prende
sempre, anche se dormiamo o abbiamo acceso in casa un qualche
accessorio domotico, dandoci in cambio poche informazioni che
chiediamo. Si tratta del nostro nuovo impegno, del nostro nuovo
lavoro di produttori che non viene pagato ma solo sfruttato e
per cambiare le cose ci si deve impegnare per far riconoscere,
visto che tra l'altro con questo formiamo anche strumenti all'
Ai per migliorarsi e imparare.
Tutto questo inserendolo nel discorso che fa Francesca Bria,
presidente del Fondo Nazionale Innovazione e ex assessore a
Barcellona per l'innovazione digitale, che parla della necessità
di una nuova democrazia digitale, ''che può partire solo dalle
città, ovvero dai cittadini stessi.Una sfida ardua ma possible,
solo però appunto partendo dal basso con modelli pratici e
sostenibili. I dati devono essere percepiti come un bene comune,
come un'infrastruttura pubblica. La città intelligente e
democratica si realizza solo con la partecipazione di chi la
abita e agisce''.
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