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Neri Marcorè, 'Zamora esordio alla regia che mi rispecchia'

Neri Marcorè, 'Zamora esordio alla regia che mi rispecchia'

L'attore porta al cinema il libro di Roberto Perrone

BARI, 18 marzo 2024, 18:49

di Francesco Gallo

ANSACheck

Cinema: Zamora di Neri Marcorè - RIPRODUZIONE RISERVATA

Forse non è affatto un caso che l'esordio alla regia di Neri Marcorè sia dedicato a una storia delicata e tenera perfettamente nelle corde di quest'attore. Si tratta di Zamora, tratto dal libro omonimo di Roberto Perrone (Garzanti), con le disavventure, nei favolosi e irripetibili anni Sessanta, del trentenne Walter Vismara (Alberto Paradossi), ragioniere di professione, ma ancor più nella vita, uno che lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. "Questo film mi rispecchia in tutto e per tutto, nel bene nel male - dice all'ANSA Marcorè -. Dentro c'è tanta roba mia. È poi una storia che conoscevo. C'era già stato un progetto in cui si parlava di me come protagonista. Quando poi sono andato da Agostino Saccà per proporre Zamora è stato lui a dirmi: perché non lo dirigi tu?".

Tornando a Zamora, passato al Bif&st e in sala con 01 dal 4 aprile, vediamo che Walter si ritrova a un certo punto catapultato in un'azienda nella moderna Milano e al servizio di un imprenditore moderno e bizzarro, il cavalier Tosetto (Giovanni Storti). Walter si adatta subito al nuovo lavoro, ma deve fare i conti con il suo boss che adora il football e obbliga fantozzianamente tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali 'scapoli contro ammogliati'. Walter, che non ama il calcio, si inventa così portiere, ma è totalmente imbranato e diventa oggetto di sfottò dei colleghi; tra questi, l'ingegner Gusperti lo ribattezza con ironia 'Zamora', grande portiere spagnolo degli anni '30. Walter sopporta tutto, ma quando si innamora della sua segreteria, Ada (Marta Gastini), cerca un riscatto. Si fa dare così lezioni da un ex portiere (Neri Marcoré), ormai caduto in disgrazia, per diventare quel campione che non è mai stato. "Questa storia mi rispecchia - ribadisce Marcorè a Bari - perché contiene elementi che sono propri della mia adolescenza, ovvero la mia timidezza, la mia insicurezza, i miei impacci. Ho trovato nel romanzo di Perrone tutti elementi per parlare sia di me e allo stesso tempo di contemporaneità. Mi riferisco soprattutto al rapporto tra Walter e la sua segretaria che non va come il ragioniere vorrebbe, ma questo solo per colpa sua. Lei gli impartisce una lezione facendogli capire che deve maturare nel rapporto con le donne. Va detto - continua il regista - che sul fronte della modernità i personaggi femminili in Zamora sono tutti indipendenti e moderni e danno una pista a quelli maschili".

C'è qualcosa di autobiografico anche nel ruolo di portiere? No, non ho mai giocato come portiere, ma secondo me è il ruolo più affascinante perché, come si dice, ci devi nascere portiere. In questo ruolo hai una responsabilità enorme, ti puoi esporre facilmente a qualche figuraccia. Il calcio in questo film, ci tengo a dirlo, è solo il pretesto in cui si innesca questa storia. È il maschile di questa storia che Walter rifiuta come rifiuta il padre. Anche per questo non gli piace il calcio". Quanta nostalgia c'è degli anni Sessanta? "Certo erano tempi diversi, ma anche oggi ci sono cose meravigliose che allora non c'erano. C'è nostalgia per un'epoca in cui c'era innocenza, ma c'è anche perché allora eravamo giovani". Riferimenti registici? "Sento sicuramente l'imprinting di Pupi Avati a cui devo molto, ma ce ne sono molto altri". Quella della regia è un'esperienza da ripetere? "Per ora mi godo il presente - conclude Marcorè - ma credo che ci sarà una seconda volta".

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