Fin dal '400, ancor prima della
nascita della fotografia e dei primi frammenti cinematografici
in laguna voluti dai fratelli Lumiere, Venezia ha posto
attenzione, al pari di quella ricevuta da artisti e viaggiatori,
alla sua immagine di città unica, di "pietra ed acqua", di
rompicapo visivo dettato da palazzi e di chiese che sembrano
uscire dalla laguna e che, in certi giorni, paiono poggiarsi su
montagne. Un luogo che, aldilà della bellezza della Venezia
vista dall'alto nella xilografia di Jacopo De Barbari nel 1500,
è stato soprattutto rappresentato con uno sguardo a livello
d'acqua, a partire dall'incisione di Erhard Reuwich, nella
seconda metà del '400, che forse costituisce la prima vera
veduta "panoramica" della città lagunare. Da quest'opera e da un
libro che contiene un particolare urbano non secondario, il
Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco, potere temporale e
spirituale, prende le mosse la mostra "Venezia panoramica. La
scoperta dell'orizzonte infinito", alla Fondazione Querini
Stampalia, fino al 12 settembre prossimi.
Una esposizione, curata da Giandomenico Romanelli e Pascaline
Vatin, promosso in collaborazione tra Fondazione, Accademia dei
Concordi di Rovigo e Fondazione Cariparo, che ha il suo centro
ideale e punto d'arrivo in un dipinto su carta realizzato nel
1887 dal pittore e decoratore veneziano Giovanni Biasin. E' un
lavoro, presentato dopo un restauro conservativo, che si
sviluppa su 22 metri di lunghezza ed offre una veduta
"circolare", totale, del Bacino di San Marco, con i palazzi, le
barche a vela, i vaporetti, la gente sulle rive. Da qui, come a
compiere un percorso a ritroso nei secoli attraverso una
sessantina tra incisioni e dipinti, la mostra offre
l'esperienza, attraverso le varie sezioni - dalla scorcio
umanistico alla rivoluzione delle sguardo nel '700 fino ai
panorami di inizio '900 - di conoscere una città che
apparentemente pare sempre uguale a sé stessa ma in realtà è in
continua mutazione. Come non pensare, ad esempio, al punto di
svolta nell'Ottocento con la costruzione del Ponte di
collegamento con la terraferma o, sul piano del tessuto
cittadino, al primo ponte dell'Accademia.
"Protagonista è la città - dice Marigusta Lazzari, direttore
della Querini Stampalia - e attraverso le immagini della mostra,
il cannocchiale del tempo restituisce una città in contrasto con
quella che abbiamo visto provata dalla marea, svuotata dal
contagio, offuscata e struggente.Riaffiora qui quel prodigioso
organismo urbano e civico, che sfugge nella sua complessità
anche ai tentativi ottocenteschi di afferrarlo tutto inrwro con
le prime, spettacolari prove di realtà immersiva. Una rassegna
che, guardando al passato, offre spunti per interrogarsi sul
futuro della città dopo la pandemia, come ha rilevato Donatella
Calabi, vicepresidente della Fondazione.
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