Alessia Pifferi, la 37enne
arrestata per omicidio volontario aggravato per aver abbandonato
per 6 giorni in casa la figlia Diana morta di stenti, "anche
dopo l'ingresso in carcere, come attestano le relazioni del
Servizio di psichiatria interna" di San Vittore "si è sempre
dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di
iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di
monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto
affettivo ed emotivo".
Lo scrive il gip di Milano Fabrizio Filice nel provvedimento
con cui ha respinto la seconda istanza della difesa che chiedeva
di far accedere esperti in carcere per una consulenza
neuroscientifica. Il giudice fornisce questi elementi nella
parte in cui spiega che la stessa difesa non voleva effettuare
un'analisi sulla capacità o meno di intendere e di volere della
donna. Una "prospettiva" che "allo stato non si aggancerebbe ad
alcun elemento fattuale", anche perché Pifferi non ha alcuna
"storia di disagio psichico" nel suo passato.
I difensori puntavano su un particolare accertamento
"neuroscientifico-cognitivo" per "cercare di sondare il
funzionamento strettamente cognitivo dell'indagata". E con la
"espressa finalità", scrive il gip, da parte della difesa di
"incidere sul processo interpretativo del giudice", che dovrà
valutare nel procedimento l'eventuale dolo dell'azione commessa.
Il giudice chiarisce che ci sono "suggestive adesioni in
campo accademico" sul fronte dell'utilizzo delle neuroscienze,
ma non si può permettere che una consulenza di questo tipo entri
nel processo senza contradditorio.
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