Il 10 giugno 1924 Giacomo
Matteotti, segretario del partito socialista unitario, uscì di
casa per recarsi alla Camera. Lo attendeva un duro discorso su
uno scandalo di tangenti che coinvolgeva direttamente il
fratello del Duce. Alla Camera dei Deputati, tuttavia, non
arrivò mai. Segregato da un gruppo di fascisti fu barbaramente
assassinato e il suo corpo venne ritrovato due mesi dopo. Fu
quello uno dei capitoli più bui e tragici della storia italiana,
prologo alla definitiva presa di potere da parte di Mussolini.
E in quelle settimane cariche di tensione, un presunto capo
indiano, Cervo Bianco, arrivò in Italia, accolto con tutti gli
onori dal regime e dalla popolazione, per parlare del proprio
popolo e stringere un rapporto d'amicizia con gli italiani. A
quel finto capo indiano il cui vero nome era Edgar Laplante, un
truffatore che dopo aver ingannato decine di persone finì sotto
processo e in carcere per due anni, era dedicato lo spettacolo
"Il fenomeno Laplante - lo strano caso del capo indiano
fascista" presentato ieri sera in prima nazionale al Teatro
della Tosse. Prodotto dallo stesso Teatro genovese, il lavoro si
basa su un brillante testo di Maurizio Patella, finalista al
premio "Shakespeare is now 2021" e al Premio Riccione per il
teatro 2021. La regia porta la firma di Emanuele Conte che,
potendo contare sulla verve di tre ottimi attori quali Luca
Mammoli, Enrico Pittaluga e Graziano Sirressi, ha creato uno
spettacolo assai godibile, nello spirito di un cabaret
futurista, giocato sull'ironia, ma anche sul sorriso amaro. Si
ride, certo, al ritratto di una Italietta credulona, ma l'ombra
di Matteotti incombe a ricordare che purtroppo non si tratta di
un divertente buffoneria, ma di una tragica realtà. Così in un
alternarsi di gag e di trovate comiche, si passa senza soluzione
di continuità dal Cervo Bianco alla ricerca del cadavere di
Matteotti in un ritmo narrativo serrato che il trio di attori,
affiatatissimi, sostiene con intelligenza e bravura. Applausi
finali calorosissimi e meritati.
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