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I giovani adulti? 'Perfetti' o infelici. Le alte aspettative malessere sociale

I giovani adulti? 'Perfetti' o infelici. Le alte aspettative malessere sociale

Venti-trentenni a caccia di rapporti autentici. Parenti incapaci, banco di prova i pranzi di festa in famiglia

03 maggio 2023, 18:25

di Agnese Ferrara

ANSACheck

Una coppia di giovani adulti foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una coppia di giovani adulti foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una coppia di giovani adulti foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Hanno stoffa, talento ma sono privi di uno sguardo di riferimento che li riconosca come persone degne di avere fiducia e ammirazione. A cominciare dalla loro famiglia di origine. Non si parla di adolescenti confusi dall’età ma dei venti/trentenni italiani. I nostri ‘giovani adulti’ si rivelano ubbidienti ai desiderata dei parenti ma anche sempre più stanchi. Non sempre studiano ciò che amerebbero ma lo fanno per non deludere le alte aspettative di mamma e papà che li vogliono perfetti (salvo poi non farcela, sentendosi dei falliti), se hanno un lavoro è spesso temporaneo e lo stipendio non basta a realizzare i loro sogni, se hanno figli sono provati, se non li hanno temono di essere già ‘fuori dai giochi’. Le 'alte aspettative' è il nuovo malessere sociale, dagli adolescenti ai giovani adulti, messo in canzone da Splash di Colapasce / Di Martino




Reclamano maggiore autenticità in casa ma le famiglie si rivelano sorde e intente piuttosto a salvare una 'serenità di facciata' trascurando il dialogo sincero. Il termometro degli psicologi ci dice che anche i giovani adulti italiani hanno la febbre e si confrontano con famiglie (genitori e parenti) che gli studiosi riconoscono incapaci di accogliere le fragilità e che si dimostrano perfino omertosi verso i loro stessi limiti mantenendo legami familiari non all’altezza delle loro stesse promesse o enunciazioni di principi.
La soluzione? Investire nella ‘relazione' con accuratezza cominciando con la scoperta di parole autentiche. Parlare, davvero, è il migliore mezzo per traghettare l'unione e la comprensione. E invece le generazioni precedenti si dimostrano sbrigative e spicce, sorde verso i loro stessi figli? “I ventenni sono in cerca di aiuto per capire come trovare il proprio posto in un mondo sempre più schiacciato sul presente e che sembra avere perso ogni slancio verso il futuro. Si sentono rotti, mal funzionanti e difettosi anche i trentenni, una generazione ancora confusa” sottolinea Stefania Andreoli, psicologa, psicoterapeuta e analista, autrice del nuovo libro ‘Perfetti o infelici. Diventare adulti in un’epoca di smarrimento’ (Bur-Rizzoli editore).
Una bella fetta di Millennial e Gen Z sono delusi dai loro genitori? “Si, - precisa Andreoli. – Sono persone anagraficamente adulte ma ancora non del tutto compiute dal punto di vista del divenire: hanno una famiglia ingombrante, che non ha favorito la trasgressione adolescenziale. Sono cresciute in sistemi chiusi, fragili e retti dalla paura, nei quali il mondo esterno fatto di alterità e occasioni viene vissuto come una minaccia che si contrasta trasmettendo ai figli l’idea che l’apparenza (ovvero l’inautenticità) sia un antidoto all’assenza di sostanza.
La delusione deriva da uno sguardo rivolto a chi è più adulto di loro e che scoprono non essere il soggetto maturo, credibile e sincero che dovrebbe”. La società più anziana pare avere insegnato loro ad ambire alla perfezione, trascurando la felicità.
“La perfezione non è sinonimo di felicità, semplicemente perché la prima non esiste - la seconda sì, - precisa la specialista. - Subordinare il senso riuscito del proprio esistere alla dimostrazione di essere impeccabili, efficienti e in una parola “perfetti” non può che sfociare nel fallimento o nella patologia. Nessuno dei due sostantivi fa rima con felicità: la felicità è darsi retta e agire di conseguenza, avvertendosi pertinenti e allineati tra bisogni, desideri, volontà e azioni”.
Come stanno perciò le famiglie italiane? Risponde Andreoli: “Male, molto. Quelle che stanno peggio sono quelle convinte di stare benissimo, nelle quali la narrazione racconta quanto ci si ami e si sia tutti uniti, con il figlio che magari nel frattempo ha 28 anni e dipende ancora dagli umori dei genitori che si offendono se per Pasqua ha programmi con il fidanzato, la fidanzata o gli amici anziché con loro. Il mito fondativo di queste famiglie è l’endogamia: sono sistemi richiusi su un vecchio modello anacronistico, che non ha più ragion d’essere, che scimmiotta il passato non perché si stesse meglio ma perché vale come “usato sicuro”. E i trentenni? “Se i più giovani non sanno chi sono e cosa vogliono, i più adulti lo sanno ma non sempre l’hanno ottenuto. Per provare comunque a “starci dentro”, ingaggiano battaglie sul senso che li fanno litigare a tavola con i suoceri, la prozia o il cugino ancora troppo figlio dei suoi genitori… se al suddetto pranzo di famiglia si sono presentati, beninteso”. “Come scardinare questo meccanismo di ‘omertà’ in famiglia? Investendo nella relazione: facciamo qualcosa di serio tu ed io, affidandoci solo al nostro incontro, improvvisando mentre sbagliamo, non perdendo la fiducia nella nostra prossima volta. Ché tu ed io siamo imperfetti di sicuro, ma insieme possiamo dare vita alla perfezione di un legame sano” conclude Andreoli

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