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Taiwan attiva sistemi di difesa: "Pechino ha lanciato missili". Giappone chiede a Cina stop immediato a manovre

L'Ue con Borrell condanna le "esercitazioni militari mirate". Pechino contro il G7: "Gli Usa hanno creato la crisi"

La Cina ha messo in campo la sua "risposta legittima" contro la ribelle Taiwan lanciando missili balistici, dispiegando aerei da combattimento e navi da guerra nelle più grandi esercitazioni di sempre intorno all'isola. La dimostrazione di forza, scatenata dalla "provocazione Usa" della visita a Taipei della speaker americana della Camera americana Nancy Pelosi, ha preso il via a mezzogiorno con un "assalto missilistico convenzionale" nelle acque a est di Taiwan. Mentre le forze armate di Taipei hanno replicato di non volere l'escalation e di sostenere "il principio di prepararsi alla guerra senza cercare la guerra.

L'Esercito popolare di liberazione (Pla), revocando "il controllo marittimo e dello spazio aereo al largo della costa orientale", ha comunicato nel pomeriggio la riuscita delle attività di lancio che "hanno colpito con precisione tutti gli obiettivi", ha assicurato in una nota il colonnello Shi Yi, portavoce del Comando del teatro orientale della Pla creato nel 2016 per controllare l'isola. Taiwan ha affermato che sono stati lanciati molteplici razzi e 11 missili balistici di classe Dongfeng (forse Df-15 e 17) "in diversi lotti", condannando le esercitazioni come "azioni irrazionali che minano la pace regionale", ma assicurando anche che l'esercito di Taipei "ha colto immediatamente le dinamiche di lancio, attivato i relativi sistemi di Difesa e rafforzato la prontezza al combattimento".

In serata, il quadro è apparso più chiaro in un crescendo di tensione. Il Giappone ha riferito che 5 missili sui nove rilevati dai suoi sistemi sono finiti nella sua zona economica esclusiva, spingendo il ministro degli Esteri Yoshimasa Hayashi a chiedere lo stop "immediato" delle operazioni. Si è trattato del primo caso del suo genere, ha chiarito il ministro della Difesa Nobuo Kishi: "Questa - ha affermato in un briefing - è una questione grave che riguarda la sicurezza nazionale del nostro Paese e delle persone". L'aspetto allarmante è che quattro dei cinque missili balistici "si ritiene che abbiano sorvolato l'isola principale di Taiwan", in base a mappe e coordinate di traiettoria diffuse dal ministero: un azzardo, confermato in seguito da Taipei, che potrebbe portare a concreti scenari di escalation. La Cina, secondo un suo resoconto, ha inviato oltre cento caccia, bombardieri e altri aerei militari nelle aree delle manovre (22 jet hanno superato la linea mediana dello Stretto). Mentre più di 10 cacciatorpedinieri e fregate hanno condotto un blocco congiunto, un pattugliamento di allerta e una ricognizione, mentre la portaerei Liaoning - a sorpresa - è da mercoledì rientrata nel porto di Qingdao.

Lo spettacolo bellico, prolungato da domenica a lunedì ed esteso su sette aree di interdizione invece di sei, pone la domanda sui fini della morsa cinese. Pentagono e analisti militari non temono un'invasione, almeno per ora: Pechino non è pronta. L'ipotesi potrebbe essere allora quella di un blocco aeronavale. In altri termini, uno stato di pressione costante sull'isola, tra manovre militari che diventerebbero di routine, il boicottaggio economico (colpendo l'interscambio dell'isola verso l'esterno), l'aumento di cybertattacchi già moltiplicatisi negli ultimi giorni su Ufficio presidenziale e siti governativi. L'ultima leva sarebbe quella diplomatica di cui oggi sono emersi i contorni: tutto il sistema dei media, la rete diplomatica e tanti account sui social in mandarino hanno avvalorato la lettura degli Usa responsabili della crisi e del tentativo di cambio dello status quo. "Sono gli Stati Uniti che hanno provocato i guai, la crisi e che continuano ad aumentare le tensioni", ha tuonato il ministro degli Esteri Wang Yi, commentando con toni aspri il comunicato congiunto dei ministri degli Esteri del G7 che mercoledì ha chiesto a Pechino di evitare una "aggressiva attività militare" per il rischio di una "escalation non necessaria" e di "non cambiare unilateralmente lo status quo con la forza".

Wang, a Phnom Penh per il vertice ministeriale Asean, ha annullato il bilaterale con Hayashi che, a sua volta, ha incontrato il segretario di Stato Usa Antony Blinken: entrambi hanno condannato l'operato cinese. I Paesi dell'Asean hanno espresso preoccupazione per il rischio di conflitti. A Pechino, invece, il ministero degli Esteri ha convocato gli ambasciatori dei Paesi del G7 - compresa l'Italia - e dell'Ue per manifestare il forte disappunto sul comunicato. Il presidente Xi Jinping si prepara al XX Congresso del Partito comunista che in autunno dovrebbe affidargli il Pcc per altri cinque anni durante i quali trovare una soluzione su Taiwan, parte "inalienabile" della Cina. Una prova muscolare a uso interno potrebbe tornare utile per serrare i ranghi, ma uno scontro aperto Usa-Cina sarebbe l'ultimo colpo all'economia globalizzata con danni gravi anche per quella cinese, in affanno. L'imprevisto potrebbe rivoluzionare i piani, anche di fronte al mito della maniacale programmazione del Partito.

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