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Gli sfratti ricominciano

Gli sfratti ricominciano

Finita la moratoria legata alla pandemia


RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA

Dal 2002 al 2021 in tutta Italia sono stati eseguiti con l'ufficiale giudiziario 519.243 sfratti, secondo i dati del ministero dell’Interno. Il doppio, 1.091.065, quelli emessi: 29.068 (2,66%) per necessità del locatore, 150.687 (13,81%) per finita locazione e la stragrande maggioranza, 911.310 (83,52%), per morosità e altro. Le richieste di esecuzione, in 20 anni, superano quota 2 milioni. 

di Cecilia Ferrara e Angela Gennaro


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"Mi hanno suonato alla porta, alle 6.30 del mattino. Mio figlio di 2 anni dormiva. Ho aperto e mi sono trovata tutti dentro casa, tantissime forze dell’ordine che mi dicevano che dovevo lasciare l'alloggio". Debora Materazzi è stata sfrattata a marzo dell’anno scorso dalla casa dove viveva a San Basilio, quartiere a nord-est di Roma. "Ho un bambino piccolo, dove vado? Mi hanno dato come alternativa una casa famiglia, per me e mio figlio. Ho detto no. Da lì è cominciato l'incubo". Più di un anno dopo, è ancora senza una soluzione, appoggiata insieme al figlio sul divano dei suoi genitori. 

Dal 2002 al 2021 in tutta Italia sono stati eseguiti con l'ufficiale giudiziario 519.243 sfratti, secondo i dati del ministero dell’Interno. Il doppio, 1.091.065, quelli emessi: 29.068 (2,66%) per necessità del locatore, 150.687 (13,81%) per finita locazione e la stragrande maggioranza, 911.310 (83,52%), per morosità e altro. Le richieste di esecuzione, in 20 anni, superano quota 2 milioni. 

"Siamo il Paese in Europa che ha la percentuale più bassa di case pubbliche e nelle grandi aree urbane persiste l’emergenza abitativa", dice Michelangelo Giglio di Asia Usb, il sindacato inquilini e abitanti. La crisi avanza e le persone vengono mandate via di casa: 33.208 sono state nel 2021 le richieste di esecuzione presentate su tutto il territorio nazionale, +45,39% rispetto all’anno precedente. 9.537 sono stati gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’ufficiale giudiziario, +80,97% rispetto al 2020 quando erano stati 5.270 - in virtù della sospensione degli sfratti con l’emergenza Covid. L’anno in cui sono stati eseguiti più sfratti in assoluto, 36.340, è stato il 2014. 

Negli ultimi 5 anni sono stati eseguiti 7.412 sfratti a Roma, 9.513 in tutto il Lazio. Nella capitale "al momento ci sono più di 5 mila sfratti in esecuzione per morosità incolpevole", spiega Maria Vittoria Molinari, anche lei sindacalista Asia Usb. "Nonostante il comune abbia stanziato fondi per nuovi alloggi popolari, è necessario del tempo per attuare il piano casa. Ad oggi, se una famiglia viene sfrattata, non ha soluzione. E si continua ad occupare: in questo momento, mentre parliamo, magari stanno occupando una casa popolare". Perché, per Molinari, continuare ad "affrontare il fenomeno dell'emergenza abitativa come un fenomeno di ordine pubblico significa non voler risolvere il problema del diritto alla casa". 

Dal 2017 al 2021 Milano ha assistito a 5.835 sfratti, mentre quasi 20 mila ce ne sono stati in tutta la Lombardia. Nel capoluogo lombardo "abbiamo un’emergenza affitti gravissima", spiega Mattia Gatti del Sicet, Sindacato inquilini casa e territorio. "È un mercato in cui è proprio difficile entrare. Le famiglie di lavoratori e lavoratrici fanno fatica a trovare una casa perché i redditi sono considerati insufficienti da chi affitta. Interi nuclei famigliari vengono sfrattati oppure non possono permettersi un affitto, e vivono in condizioni di sovraffollamento, in alloggi precari e condizioni igieniche difficili". Secondo i dati del ministero dell’Interno per il 2021 sono stati emessi a Milano e provincia 1706 provvedimenti, la maggior parte per finita locazione. A questi si aggiungono i pignoramenti immobiliari che il Sicet stima in circa mille all’anno. Pignoramenti che, aggiunge Gatti, "rischiano di subire un’impennata con il rialzo dei tassi dei mutui e delle spese condominiali". 

Ripartono gli sgomberi

Ripartono gli sgomberi

L’espulsione della povertà

Negli ultimi 5 anni sono stati eseguiti oltre 5 mila sfratti a Napoli, 7.255 in Campania. “Una signora di 60 anni, ex imprenditrice del tessile, ha perso l'attività con la crisi: è stata sfrattata dalla sua casa in centro. Con la pandemia erano cominciate le difficoltà a pagare l'affitto, perché ormai faceva lavori saltuari. Ma la famiglia le dava una mano. Poi anche i suoi familiari hanno perso il lavoro. E la signora è entrata nel circuito della morosità”. Chiara Capretti, classe 1990, ha incontrato tante storie come questa: fa la consigliera municipale a Napoli e si occupa del centro storico. Dall’esperienza dell'Ex Opg Je So Pazzo e poi in Potere al Popolo si occupa di mutualismo e della rete delle Case del Popolo. “La signora ha solo una pensione di invalidità, non avrà più accesso al reddito di cittadinanza né al fondo di morosità incolpevole. L'unica risposta proposta dalle istituzioni è stata il dormitorio, come se le dicessero: 'Basta, sei una senzatetto'. Oggi la signora non è in un dormitorio solo perché siamo riusciti, con la rete delle occupazioni abitative, a trovarle una soluzione”. 

I numeri nel resto d’Italia raccontano situazioni analoghe: sempre negli ultimi cinque anni 3 mila sfratti a Bologna e 9.820 in tutta l’Emilia Romagna, 2.429 a Genova e 5.036 in tutta la Liguria, 7.827 a Torino e 11.736 in tutto il Piemonte, 1.329 a Venezia e 6.975 nel Veneto (dal 2017 al 2021), 2.442 a Firenze e 9.380 in tutta la Toscana, 1.665 a Bari e 5.480 in Puglia, 1.560 a Palermo, 1.926 a Catania e 5.498 in tutta la Sicilia. 

Roma "ha circa 200 mila alloggi chiusi privati - dice Maria Vittoria Molinari di Asia Usb -. Ma si continua a far costruire il privato: questo dà l'idea di come venga trattato il fenomeno casa”. "Il patrimonio abitativo pubblico dell’intero paese -  aggiunge Michelangelo Giglio - è invece esiguo. E i prezzi di mercato inaccessibili". Secondo sindacati e movimenti è sbagliato "criminalizzare la povertà e il diritto alla casa", a loro avviso bisogna partire dal rilancio dell'edilizia residenziale pubblica che, spiega Giglio, "fa da calmieratore anche del mercato". Francia e Germania, per esempio, "hanno un patrimonio abitativo pubblico molto ma molto più elevato dell'Italia". 

"È una priorità politica e sociale che richiede risposte adeguate", aggiunge Gennaro Acampora, consigliere comunale Pd di Napoli. "Migliaia di persone vengono espulse dal centro di Napoli, verso le periferie o anche verso altre città, a causa dei canoni alti e della trasformazione di molti alloggi in case vacanze e B&B". La moratoria sugli sfratti "ha salvaguardato la situazione dal 2020 al 2022. Con la fine del blocco e la morosità, oggi si parla di oltre 10 mila sfratti esecutivi programmati a Napoli”, aggiunge Capretti. La maggior parte soprattutto nel centro storico. “Lì si è costruito probabilmente un doppio fenomeno: da un lato quello, comune al resto d’Italia, dell'aumento dei redditi da rendita a fronte di un basso se non nullo aumento dei salari. Dall’altro l’esplosione del turismo ha chiaramente fatto impazzire il mercato libero degli affitti. Sono tanti i casi di famiglie che decidono di sfrattare inquilini per poi immaginare una vendita o una gestione affidata a una locazione breve". Mentre in centro “esiste ancora una classe sociale di provenienza bassa, se non proprio sottoproletaria, già dall'800, che finora non era stata fortunatamente cacciata e che ora soffre più di altre”. 

Albert Cubolli vive a Milano dal 2000, dal 2007 abita in una casa in affitto e a settembre ha scoperto che i nuovi proprietari non gli avrebbero rinnovato il contratto. È sposato, ha due figli e lavora nell’edilizia, sua moglie lavora part time. Non sono più riusciti a trovare un’alternativa e a gennaio hanno subito lo sfratto esecutivo. "Ora sono da mio fratello, ma è dura anche per i miei figli studiare: siamo in 8 in una casa piccola", racconta. "I bambini mi chiedono sempre se il Comune ha risposto". Sì, perché Cubolli si è precipitato a chiedere aiuto all'amministrazione per capire che alternative ci fossero. La risposta? "Vai a Como, vai a Verona, vai a Piacenza. Così ci hanno detto. Ma come? Lavoro a Milano e volete che vada vivere a Como?". Eppure Albert e la moglie, insieme, guadagnano 20 mila euro all’anno. "Milano deve decidere se restare una città vera, con una diversità sociale e culturale, o se diventare un’altra cosa", avverte Gatti. Perché gli stipendi non sono adeguati ai prezzi delle case. "I lavoratori e le lavoratrici di settori importantissimi, di quelli che mandano avanti questa città, non si possono permettere poi di viverci, neanche nell’area metropolitana: stiamo parlando di chi è impiegato nella logistica, le imprese edilizie, la ristorazione, la pulizia. Lavori a bassissimo reddito, a volte condizionati dalla precarietà, per cui basta una spesa improvvisa, il dentista del bambino, l’acquisto di un elettrodomestico, a mettere in crisi il bilancio familiare". In Lombardia le famiglie considerate povere sono il 2,7% sulla popolazione generale, ma se si analizza solo la popolazione che vive in affitto, la percentuale sale al 14,5%. “L’affitto determina la povertà, ma chi è povero non può far altro che andare in affitto”, conclude Walter Gatti. 

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La storia di Debora

La storia di Debora

Il caso di Cinecittà Est

La signora Nina ha 75 anni e da circa 30 abita in uno degli appartamenti in via Pietro Marchisio, Cinecittà Est, Roma, con un figlio disabile. "Sì, mi è arrivato l’avviso di sfratto. Ma secondo me si sono sbagliati", racconta. Probabilmente quello che è arrivato a Nina Coscarella e a suo figlio - una delle 50 famiglie delle case dell’ex Assitalia - è una lettera in cui si annuncia che non ci saranno altri contratti di locazione e che la casa verrà venduta. Naturalmente anche gli inquilini possono comprarla, ma Nina vive con una pensione sociale di circa 600 euro e l’acquisto non è sicuramente un’opzione per lei. Come non lo è per gli altri inquilini, tutti molto anziani. "Vogliono 335 mila euro da noi che abbiamo 80 anni, quando lo stabile è totalmente abbandonato dal punto di vista delle ristrutturazioni", dice Antonino, un altro inquilino intervenuto alla riunione convocata dal municipio e dal sindacato degli inquilini Sunia. 

L’avviso di sfratto ancora non c’è, ma agli anziani inquilini è tornata la paura di rimanere senza un tetto: un rischio che avevano già corso oltre 15 anni fa. Le case di via Marchisio, un complesso di edifici a ferro di cavallo, hanno infatti una storia che viene da lontano e che rappresenta uno dei paradossi delle politiche edilizie e abitative italiane: quello delle dismissioni del patrimonio abitativo degli enti pubblici o privati.

Costruiti negli anni ‘80, gli appartamenti erano stati affittati a canone agevolato. Poi Assitalia, l’ente pubblico delle assicurazioni privatizzato negli anni ‘90, come tanti altri enti ha cominciato la dismissione degli immobili, o cartolarizzazione, vendendo a un’altra società immobiliare nel 2002 che a sua volta avrebbe venduto poi in blocco a un’altra ancora, la Sogesta, che ha iniziato a mettere sul mercato gli appartamenti con prezzi molto superiori ai valori effettivi.

"Nel 2006 è arrivato l’avviso: o comprate o trovate un’altra sistemazione", racconta Elena Paoloni, figlia di Nina Coscarella. "La mobilitazione politica del movimento di lotta per la casa Action e del Municipio X allora guidato da Sandro Medici di Rifondazione Comunista ha portato alla cosiddetta prima requisizione Medici, che ha dato un tetto prima di tutto agli sfrattati e poi ad altre persone in emergenza abitativa", spiega Emanuela Ammerata, allora di Action e oggi consigliera municipale del VII municipio. Per la prima volta un mini-sindaco su delega del sindaco (allora Walter Veltroni) esercitava il potere di requisizione di un bene privato per un’emergenza pubblica come quella abitativa. Negli appartamenti vuoti sono state inserite 27 famiglie allora in graduatoria per le case popolari. 

È un momento particolare di convergenza tra i movimenti di lotta per la casa e la politica: la dismissione degli immobili degli enti pubblici e privati stava portando problematiche per gli inquilini in tutta Roma. Da allora si sono susseguite altre requisizioni, sia da parte di Medici che di altri minisindaci sempre di Rifondazione comunista, ma anche indagini e processi nei confronti degli amministratori. E la pratica delle requisizioni si è fermata. Così gli occupanti, una trentina, sono rimasti senza titolo, e le 50 famiglie con i contratti in scadenza a rischio sfratto piano piano hanno smesso di pagare, a fronte della mancanza di manutenzione dell’immobile. E tutti si sono dimenticati di Cinecittà Est. "È l’eterna sospensione: le case sono di tutti e di nessuno", racconta ancora Elena Paoloni. "La proprietà è di nuovo passata di mano, non so che giro speculativo ci sia, dopo tutti questi passaggi le case sono in stato di abbandono. È mancata l’acqua un mese quest’inverno, mia madre e mio fratello dovevano andare con le taniche alle fontanelle. Ed erano senza riscaldamento".

La proprietà è passata adesso a Castello e l’incubo sembra ricominciare: sono arrivate le nuove lettere, come 15 anni fa. A gestire la dismissione è l’agenzia Di.Re. Il proprietario, Pietro Guzzo, spiega all’ANSA che si sta occupando personalmente della questione perché si rende conto della delicatezza. "Sappiamo che ci sono casi di persone anziane, e ne siamo preoccupati. Ma sottolineo anche che lì su 95 appartamenti, 30 sono occupati e per 44 chi ci abita non paga". L’agenzia ha chiesto al sindacato Sunia di fare un censimento per capire chi può pagare un affitto e chi può comprare: censimento da cui le 30 famiglie occupanti in emergenza abitativa sicuramente resteranno fuori.

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Anziani in difficoltà

Anziani in difficoltà

Le case popolari

"Erano le 6.15 di una mattina di febbraio. Hanno suonato alla porta e ho aperto. Un vigile urbano mi ha detto: 'Hai un'ora e mezza di tempo per prendere documenti ed effetti personali e andartene'. Ho risposto: 'Non me ne vado manco per niente'". E invece Walter Borla ha dovuto andarsene, è stato sfrattato a febbraio da San Basilio, quartiere a nord-est di Roma. Lavora saltuariamente, fa l’imbianchino dove può. "Sto cercando una casa, ma non me la posso permettere". L’alloggio dove viveva era stato assegnato molti anni fa alla nonna. Dopo la sua morte è passato allo zio, che Walter ha assistito per alcuni anni perché malato di cancro. Morto anche lo zio, l’intestazione dell’affitto e delle bollette non è stata aggiornata. "Mi hanno detto che dovevo andare via perché mi avevano mandato l'avviso. Ma l’ultimo avviso che ho ricevuto risaliva a prima della pandemia, e dopo mi avevano detto che era tutto a posto".

Con i suoi lavori saltuari Walter racimola 6-700 al mese: "Come faccio a pagare un affitto?". Dopo lo sfratto ha perso anche il reddito di cittadinanza, per cui ora, con la residenza fittizia a via Modesta Valenti, farà di nuovo richiesta. "Voglio sapere perché tutte 'ste case sfitte a San Basilio. Mandano via la gente e poi restano vuote per anni. Vogliono la guerra per le strade?", si chiede. "Spesso anche in questo quartiere le case - dopo che la gente va via o muore - vengono lasciate vuote per tre o quattro anni", conferma Michelangelo Giglio da Asia Usb. "È chiaro che la prima persona che ha problemi abitativi, il primo disperato entra, vedendo che l'alloggio non viene assegnato, occupa. Non è che è giusto: è il risultato di una non volontà di gestire il patrimonio abitativo". E Roma "ha anche un altro problema: non ha il personale per far funzionare la macchina amministrativa. L’assessorato alla Casa del comune di Roma è quello messo peggio, con pochissimi dipendenti che dovrebbero vagliare le domande di assegnazione per la casa. Ma non ce la fanno", aggiunge il sindacalista. Nel 2008 "in graduatoria per avere una casa popolare - prima che venisse eletto Gianni Alemanno - c'erano 42.000 famiglie e oltre. Dal 2013 sono diventate 14.500, ma la graduatoria non va avanti. "Dovrebbe essere aggiornata di sei mesi in sei mesi, ma lo è, se va bene, ogni due anni: di fatto non va avanti perché non esistono più grossi piani per l'edilizia residenziale pubblica. E molte persone ormai non fanno neanche più la domanda per la casa".

"Siamo stati su un piano di zona, cioè su case costruite su Area 167 pubbliche, al 90% finanziate dalla regione Lazio", racconta ancora Giglio. "Stavamo difendendo una donna di 83 anni che non riesce a pagare questo affitto perché gliel'hanno quadruplicato: queste case sono state rilevate da grandi enti immobiliari. Sono anni che lottiamo sui piani di zona: queste case devono essere affittate e vendute con prezzo calmierato a persone che non rientrano nell’edilizia ERP, però ci sono truffe colossali”. A Tor Bella Monaca "hanno sfrattato intere famiglie", aggiunge Maria Vittoria Molinari. "In questo momento la situazione è abbastanza tranquilla da parte del comune di Roma, ma l’Ater comunque sfratta, sgombera e ovviamente non riusciamo a intercettare in tempo le situazioni per dare assistenza".L' ANSA ha chiesto ad Ater, l'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale del Comune di Roma, quante case risultano abitate senza titolo o irregolari nella Capitale e il numero di sfratti previsti ma l'Ater non ha dato risposta. 

Le storie, le vite incrociate, sono innumerevoli. A Torre Maura "è stata sfrattata una mamma incinta di sette mesi", ricorda Molinari. "È andata a vivere con la sorella a Tor Bella Monaca, a sua volta occupante. Questa è la condizione della nostra città”, dice con un’alzata di spalle. "E il trend va avanti da almeno una decina d'anni: dall'entrata in vigore del decreto Renzi-Lupi che non consentiva di dare la residenza agli occupanti". Se ci sono i minori viene proposto un Cat, un centro di accoglienza "che separa la famiglia", dice ancora. Come successo a Debora e a suo figlio di due anni. Da una parte mamma e prole, dall’altra il padre. "Nel caso dell'ultimo sfratto per morosità incolpevole che ho seguito, a questa donna hanno offerto una casa famiglia a Tor Marancia, mentre il compagno sarebbe dovuto rimanere a Tor Bella Monaca". A 30 km di distanza. "Viviamo in un paese che fa l'esaltazione della famiglia e che poi in realtà la disgrega", chiosa Maria Vittoria Molinari. 

La nuova ondata di sfratti e sgomberi, 45 mila previsti solo per Roma, “viene portata avanti in maniera completamente indiscriminata, buttando fuori persone che magari hanno l'unica colpa di non essere regolari, quindi di essere definiti abusivi, ma che sono aventi diritto”, dice Davide Angelill della Rete Popolare Tiburtina. Come Walter. “Hanno tutti i requisiti sociali ed economici per avere diritto a una casa popolare”. Debora era un’occupante, ma aveva diritto a rientrare in sanatoria. Glielo hanno confermato anche le istituzioni, dice, che il suo sfratto era stato un errore. Ma a oltre un anno di distanza da quella mattina, lei e il figlio sono ancora senza una soluzione.  

Da gennaio 2021 "sono state riavviate le operazioni di sgombero per sfratti relativi alla finita locazione e per la morosità relativa a canoni non pagati - molti per morosità incolpevole", dice da Napoli Gennaro Acampora. Poche le risposte a livello istituzionale: il governo “con la finanziaria 2023 nulla ha previsto per l'abitare, azzerando tutte le risorse previste a partire dalla concessione di contributi integrativi per il fitto a favore di soggetti con un contratto registrato e con redditi bassi, lasciando alle sole Regioni la possibilità di finanziare il fondo per il fitto e di programmare politiche per le casa”. Idem per il finanziamento per la cosiddetta "morosità incolpevole", ovvero contributi ai nuclei familiari che stanno attraversando una crisi sociale e finanziaria: licenziamenti, contratti part time, decesso del portatore del reddito, malattie gravi.

 

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La storia di Walter

La storia di Walter

Le politiche abitative

Quello della casa è stato uno dei temi della campagna elettorale del centrodestra e di Fratelli d’Italia. Ai tempi dell’intervento dell’esecutivo di Giorgia Meloni sul superbonus, la presidente del Consiglio ha annunciato "una guerra contro le occupazioni abusive: cominciamo con gli sgombri". Ad agosto 2022, in campagna elettorale, aveva promesso che Fratelli d’Italia avrebbe presentato una proposta di legge "che prevede lo sgombero immediato delle occupazioni abusive di abitazioni altrui, senza eccezioni e stratagemmi. Ogni proprietario, affittuario, assegnatario di immobile, se subirà l’occupazione abusiva della sua casa, avrà lo Stato al suo fianco". 

"Rispetto agli inquilini delle case popolari si sta facendo lo stesso gioco che si è fatto con la popolazione immigrata: quello di una criminalizzazione a tappeto e di una campagna mediatica che dice sono tutti illegali, abusivi, irregolari, che si fa pulizia per i diritti degli italiani. Questo è il discorso che fa il governo, già testato su altre categorie e che vediamo anche con i lavoratori e le lavoratrici e il reddito di cittadinanza", dice Davide Angelilli di Rete Popolare Tiburtina. Ma chi sono gli inquilini delle case popolari? "Molto spesso giovani che hanno figli e non possono più coabitare con la propria famiglia perché non entrano in otto in 40-50 metri quadri e che quindi sono stati costretti ad occupare. Ma anche persone precarie di 50-60 anni che non possono più rientrare facilmente nel mercato del lavoro. Sono anche persone che magari vivono in quella casa da sempre: l’alloggio era della nonna o della zia e non sono riusciti a regolarizzare la situazione perché è difficile parlare con l'Ater e con il Comune. Non hanno mai occupato, pagano il cedolino a nome loro eppure risultano irregolari e abusivi per inadempienze burocratiche". Poco cambia da Nord a Sud. A Napoli "la domanda per un alloggio di edilizia residenziale pubblica è elevatissima", aggiunge Gennaro Acampora, capogruppo Pd al comune di Napoli. Il bando pubblico per la casa popolare "ha visto la partecipazione, solo per la città di Napoli, di oltre 8 mila domande". A fronte di una scarsa offerta di alloggi sia pubblici che privati. A Milano solo il 4% di chi fa domanda per la casa popolare la ottiene. “Siamo molto indietro con le graduatorie”, spiega Gatti. Senza contare che la legge regionale non dà punteggio maggiore a chi è sotto sfratto: a contare sono gli anni di residenza in Lombardia e MIlano, "quindi se per caso una famiglia si è trasferita per un anno in un’altra città o in un'altra regione per motivi di lavoro o anche per impossibilità di sostenere la vita a Milano, perde punteggio". 

Urgente e necessario allora, per Acampora, "che tutte le istituzioni - governo, parlamento, regione e comuni - siano protatrici di proposte concrete, per una politica per la casa", prevedendo per esempio "finanziamenti specifici per piani casa per la costruzione e/o il recupero di alloggi pubblici/privati, cofinanziamenti di risorse economiche dei privati; finanziamenti per concedere contributi integrativi per i soggetti che non riescono a sostenere il fortissimo aumento dei canoni di locazione; finanziamenti e convenzioni con le banche per sostenere agevolazioni per la concessione di mutui a tassi agevolati e/o per contributi a fondi perduti in primis per le giovani coppie e gli under 35 anni; convenzioni e fondi di garanzia con le associazioni della proprietà per la stipula di contratti di locazioni dove consentire ai Comuni di essere garanti dei contratti di locazione in caso di morosità; nuova fiscalità con tasse agevolate per i proprietari che affittano gli alloggi a canoni agevolati; monitorando gli alloggi liberi e non locati per motivi vari, dando modo ai Comuni di assegnarli con il consenso dei proprietari a canoni concordati".

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