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Le infrastrutture una priorità, ma mancano 100mila persone

Convegno Intesa Sanpaolo sulla sostenibilità. Nodi dal fisco alla produttività

Ripartire dalle infrastrutture per riaccendere il motore del paese. E' la grande scommessa con cui l'Italia punta a recuperare decenni di ritardi e scarsa crescita. Una partita che, grazie alla leva delle risorse del Pnrr, si punta a vincere. Anche se i nodi ancora da sciogliere non mancano, primo fra tutti la mancanza di personale, in particolare di figure specializzate, su cui il mondo dell'industria lancia l'allarme.

"Noi abbiamo un problema serio, industriale. Ci mancano 100 mila persone. Fare il Pnrr significa avere 100 mila persone pronte per lavorare. Non ci stanno. Di queste, 26mila persone specializzate, che non ci sono. Questo è il tema da affrontare, non i funzionari nella P.a", dice senza mezzi termini l'a.d. di WeBuild, Pietro Salini parlando a 'Infrastrutture sostenibili: un bene comune', l'evento di Intesa Sanpaolo che ha riunito a Roma rappresentanti di istituzioni, enti pubblici, imprese e mondo della finanza per fare il punto sulle sfide del Pnrr.

Per il settore delle costruzioni, poi, un altro grande problema è la "paura della firma", avverte ancora Salini, che si chiede anche come possa il settore delle infrastrutture, che "esce fuori da uno tsunami" che risale a prima della pandemia, e che nel 2019 ha speso 1,9 mld, "fare nel 2021, dopo la pandemia, 15 miliardi".

Che manchino figure professionali, lo conferma anche l'a.d. di Fs Luigi Ferraris. "Il tema dei tecnici e degli ingegneri è un tema molto importante", dice il manager, che ha toccato con mano il problema in Italferr, che si è trovata a vedersi portar via 80 ingegneri (su 2mila dipendenti, di cui il 75% ingegneri). "Adesso dobbiamo lavorare sulla capitalizzazione delle competenze", aggiunge Ferraris, che con il Pnrr dovrà gestire un fetta consistente da 28 miliardi e si prepara a far marciare il Gruppo al ritmo di 10-12 miliardi l'anno di investimenti nei prossimi 10 anni. Ma il Pnrr pone anche altre sfide. A partire dal tema della produttività.

"E' vero che abbiamo un gap di 36 punti negli investimenti, ma abbiamo un gap ancora più grande di produttività", osserva l'a.d. di Poste Matteo Del Fante, sollecitando a far sì che questi investimenti ci facciano uscire "nel 2025-26 con un'economia più produttiva". Un altro nodo è legato alla dimensione dei gestori, la cui frammentazione rende il sistema "ancora fragile", fa notare Renato Ravanelli, a.d. di F2i, che auspica "una dimensione di scala per avere infrastrutture sicure, efficienti e moderne".

Inoltre, "connesso e parallelo" al Pnrr è il percorso della riforma fiscale, sottolinea il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, evidenziando come l'attuale sistema tributario sia "un ostacolo alla crescita economica sostenibile". In questo quadro, una cosa è certa. Che "non possiamo più parlare solo di infrastrutture: o sono sostenibili o non sono", sottolinea il ministro Enrico Giovannini, avvertendo anche che ora transizione ecologica, sviluppo economico, riduzione delle disuguaglianze vanno di pari passo.

I ritardi ci sono e "bisogna prenderne atto", osserva Gaetano Miccichè, chairman della Divisione IMI/Cib di Intesa, assicurando l'impegno del Gruppo, che ha il project financing nel proprio dna. I segnali positivi, però arrivano, a partire dal rinnovato interesse per investimenti nel nostro Paese da parte degli operatori industriali e finanziari internazionali, aggiunge il chief della Divisione, Mauro Micillo.

Un terreno su cui si giocherà la riuscita di questa sfida sarà anche il Mezzogiorno, cui viene destinato il 40% delle risorse del Pnrr. Il piano rappresenta un "cambio di paradigma", puntualizza la ministra per il Sud Mara Carfagna, che indirizza il proprio messaggio alla platea di imprenditori: "Stiamo costruendo le condizioni per fare del Mezzogiorno nei prossimi 5-10 anni un habitat naturale favorevole all'attività di impresa", che potrà contare su "una rete logistica efficiente e moderna e uno Stato alleato".

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