LAURA GALVAGNI - AUTOSTRADE IN
FRANTUMI. IL CROLLO DEL PONTE MORANDI E NON SOLO: TRA FINANZA E
POLITICA, UNA STORIA TIPICAMENTE ITALIANA (Rizzoli, pp. 192
pagine, 17 euro).
Restano tutti sepolti sotto le macerie del Ponte Morandi,
assieme alle 43 vittime di quel 14 agosto 2018. Ognuno con la
sua parte di responsabilità. Azionisti voraci, manager
spregiudicati, uno Stato che aveva il dovere di controllare e
non l'ha fatto, di difendere l'interesse pubblico e invece ha
lasciato banchettare i privati. Salvo poi fare la voce grossa e
la faccia feroce (ma solo quella) quando il boato del viadotto
sul Polcevera che crollava ha segnato un tragico punto di non
ritorno dopo anni di incurie e deliberate negligenze.
In "Autostrade in frantumi", edito da Rizzoli, Laura
Galvagni, giornalista finanziaria de Il Sole 24 Ore,
ricostruisce la parabola della principale concessionaria
autostradale italiana, dalla stagione controversa delle
privatizzazioni, di cui è stata uno dei simboli, fino ai giorni
nostri. Lo fa analizzando le carte della magistratura, delle
autorità di controllo, attingendo alle fonti del mondo della
finanza, che così bene conosce e, con il supporto dell'ufficio
studi di Mediobanca, ricostruendo i bilanci di Autostrade per
capire quanto una generosa politica di dividendi abbia frenato
gli investimenti necessari alla sicurezza della rete.
Quello che ne risulta, attraverso una minuziosa ricostruzione
di vent'anni di intrecci tra politica, burocrazia e finanza,
ripercorsa in stretto ancoraggio ai fatti, è "il fallimento di
tutti". "Quando si alza il tappeto dopo anni di inedia, la
polvere è più di quella che si pensi e, soprattutto, investe
tutti. E le colpe di azienda e Benetton - si legge nel prologo -
si mischiano repentinamente con la figura di un manager, l'ex
ceo di Atlania e di Aspi, Giovanni Castellucci, e con quelle di
uno Stato "dormiente", che fin dalle privatizzazioni di
Autostrade per l'Italia nel 1997 ha creato le basi per un
business che garantiva rendimenti sicuri ed elevati senza al
contempo fissare paletti sufficientemente stringenti sul fronte
degli obblighi in materia di investimenti".
Ma che cosa trova Galvagni sotto il tappeto? C'è un progetto,
quello del viadotto sul Polcevera, con cui "si vuole fare la
storia dell'ingegneria e dell'architettura" ma che "nasce già
con dei difetti", noti da sempre a tutti quelli che dovevano
sapere, e che pure "non si fa abbastanza" per correggere. C'è
uno Stato che, alla fine degli anni '90 con il governo Prodi
impegnato a sistemare i conti pubblici per entrare nell'euro e
con Mario Draghi al Tesoro a gestire le privatizzazioni, ha
bisogno di fare cassa e per rendere "appetibile l'affare" mette
a punto una convenzione sbilanciata a favore del concessionario,
un peccato originale che non sarà più in grado di correggere, e
tralascia, dopo averlo concluso, di esercitare le sue
prerogative di controllo sulla manutenzione della rete. Ci sono
manager che si approfittano della debolezza della controparte
pubblica convinti "di essere onnipotenti, invulnerabili,
intoccabili" mentre blandiscono i loro azionisti con una
montagna di dividendi, 10 miliardi in meno di vent'anni a fronte
di 14 miliardi di investimenti. Ci sono i Benetton, colpevoli
agli occhi di tutti di aver "incassato dividendi sempre più
ricchi a scapito dei necessari interventi sulla rete" e di aver
gratificato colui che glieli staccava, Castellucci, con una
"fiducia smisurata".
Se sulla tragedia del Ponte Morandi toccherà alle sentenze
mettere una parola definitiva, già ora, scrive Galvagni,
"numerose colpe emergono con chiarezza ma al tempo stesso è
difficile individuare un unico responsabile". Ma nel "groviglio
perverso che è anche lo specchio del nostro Paese" resta
imprigionata anche Autostrade, un asset centrale per il Paese,
da due anni e mezzo alla ricerca di un nuovo assetto: il
semplicistico grido "revoca", urlato a squarciagola dalla
politica, si è dovuto articolare in un problematico "percorso"
di vendita a Cdp "del quale ancora oggi non si vede la fine".
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