(di Franco Nicastro)
VINCENZO RABITO: IL ROMANZO DELLA
VITA PASSATA (Einaudi, pag. 504, 25 euro) Quando uscì, nel 2007,
"Terra matta" venne accolto come un libro straordinario. Fu
subito un successo letterario. Vincenzo Rabito raccontava da un
posto remoto della Sicilia la storia del Novecento, vissuta ora
come testimone ora come protagonista. Lo scrittore "inalfabeto",
come si definiva, usava una lingua inesistente. Parole
inventate e separate da un punto e virgola, stile appassionato e
coinvolgente, espressioni ispirate a una compulsiva "necessità"
di raccontare. Si credeva che il racconto di Rabito finisse con
quel malloppo che Einaudi aveva pubblicato dopo gli interventi e
la cura di Luca Ricci e Evelina Santangelo. Invece Rabito aveva
continuato a scrivere, chiuso per ore in una stanzetta a
martellare i tasti di una Olivetti lettera 32. Il nuovo testo è
stato ritrovato e ora, a 15 anni dal primo, Einaudi pubblica un
secondo volume stavolta riadattato dal figlio Giovanni. "Il
romanzo della vita passata" riprende già nel titolo l'idea che
Rabito seguiva nel raccontare, con un taglio autobiografico, una
vita "molto desprezzata e maletrattata".
È proprio Vincenzo Rabito a ricorrere già nelle pagine
iniziali al concetto di romanzo. "Rispetto al primo - dice il
figlio Giovanni - era consapevole di essere alle prese con una
prova letteraria: il racconto è più esteso e complesso, il
taglio è più intimistico e personale". Stavolta si parla tanto
della famiglia e dei figli. Perché Rabito sente il bisogno di
tornare sulle sue storie? Intanto perché sente forte non solo la
necessità ma il desiderio di raccontarle. E poi per allungare la
prospettiva stessa del racconto. La prima parte si fermava al
1970. La seconda, che scrive fino a due giorni prima di morire
nel 1981, si inoltra nel decennio che ha conosciuto il
terrorismo e l'affare Moro ma anche l'elezione di Sandro Pertini
come capo dello Stato.
Quel malloppo di oltre 1500 pagine era stato scritto da
Rabito chiuso per ore in una stanza nella casa di Chiaramonte
Gulfi piccolo paese della provincia di Ragusa. Solo dopo la
pubblicazione del primo volume, diventato un testo studiato
anche dalla critica letteraria, il figlio Giovanni si è
ricordato che aveva recuperato un altro plico di dattiloscritti
e l'aveva affidato alla cognata per evitare che potesse essere
perduto. "Temevo - ricorda - che mia madre avesse intenzione di
buttarlo via, come fece con tutto ciò che c'era nella stanzetta
dove mio padre, quasi in segreto, per tredici anni aveva
lavorato alla sua storia". In quelle pagine si riflette la vita
di Vincenzo Rabito, nato nel 1899 in una famiglia molto povera
di Chiaramonte Gulfi nella Sicilia sud-orientale. Per aiutare la
madre vedova e sei fratelli è costretto a lasciare la scuola per
lavorare nei campi, va in guerra, attraversa il fascismo, riesce
a trovare un posto di cantoniere, si sacrifica per mandare tre
figli all'università. Giovanni era andato a Bologna, anche lui
ha avuto una vita travagliata, anche lui ha frequentato la
scrittura e la poesia. È poi finito in Australia. Ma anche da lì
ha continuato a seguire le tracce di un padre analfabeta
diventato scrittore.
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