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Paolo Mieli, processo a falsificazioni della storia

Paolo Mieli, processo a falsificazioni della storia

Non è necessario un capovolgimento basta una piccola revisione

ROMA, 19 ottobre 2021, 17:34

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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'PAOLO MIELI, ''IL TRIBUNALE DELLA STORIA. PROCESSO ALLA FALSIFICAZIONI'' (Rizzoli, Pag. 295 Euro 18,00).
    ''In fondo fare storia consiste proprio in questo: nella ricerca di ogni genere di indizio o di prova che porti a rivedere i giudizi dati in epoche precedenti. Non è necessario che si tratti di un capovolgimento, è sufficiente una piccola, millimetrica revisione. Da quella revisione, ancorchè quasi impercettibile, potranno discendere riconsiderazioni clamorose''. Tutto parte insomma dal Trattato sulla tolleranza in cui Voltaire riportava la verità nella vicenda di un processo, quello per la morte di Jean Calas che poi si rivelò essere un suicidio, in cui anni prima aveva perso la vita un innocente, ovvero il padre condannato a morte in tempi record.
    Il fatto è che la storia si può rileggere e spesso viene fatto sulla base del cambiamento della percezione e della sensibilità, come in una sorta di processo a posteriori insomma. Mieli lo fa con il suo consueto garbo e capacità in questo ''Il tribunale della storia'', dove rimette in luce da un punto di vista diverso momenti della storia fondamentali appunto. Sul banco degli imputati Fidel Castro, ad Enea passando per Napoleone o Filippo IV, Gesù e Catilina che poi forse tanto colpevole non era. La parola alla difesa invece è per Togliatti e Cavour, Masada e la leggenda nera dei pretoriani. ''Le sentenze - spiega ancora Mieli - non possono essere contemplate come la meta ultima di un processo a carattere storico. Anzi. Se si parla di uno studio del passato, il verdetto finale deve essere sempre considerato provvisorio''. Sottolinea Mieli che ''talvolta, nei primi vent'anni del terzo millennio, è toccata addirittura a capi di stato che di governo l'incombenza di rimettere in discussione verità che sembravano acquisite in via definitiva'.
    E di scusarsi con vittime riemerse dal passato'. Per l'autore, che a questo scopo rilegge vicende e personaggi della storia, ''le pubbliche scuse non equivalgono dunque a sentenze definitive. Sono prese d'atto di una modificata percezione delle vicende del passato. Altre ne verranno. Ed è questo il risultato del lavoro del tribunale che nell'era dell'informazione è sempre riunito. In seduta permanente''.
   

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