(di Silvia Lambertucci)
(ANSA) - ROMA, 13 DIC - Il greco Strabone ne faceva risalire
le origini agli Osci, una popolazione di ceppo sannitico della
Campania preromana. E per tanti secoli si è pensato che il
celeberrimo geografo degli antichi avesse ragione. Ma sulla
fondazione di Pompei, avvenuta almeno 700 anni prima della sua
tragica fine, è di fatto sempre rimasto il mistero. Una nebbia
che i risultati delle ultime campagne di scavo avviate nel parco
archeologico patrimonio dell'umanità sembrano ora stemperare con
una serie di ritrovamenti che raccontano un'altra verità: quella
di una città etrusca "per lingua e per cultura", seppure
costruita con uno stile tutto suo, che poco o niente ricorda
quello della madrepatria. A parlarne il direttore del parco
archeologico Massimo Osanna - da settembre alla guida anche
della direzione generale dei musei del Mibact - che qualche
giorno fa, insieme con l'archeologo Carlo Rescigno, accademico
dei Lincei professore di archeologia classica all'Università
della Campania Luigi Vanvitelli, ha presentato le nuove scoperte
all'Accademia dei Lincei, in una tavola rotonda con alcuni dei
nomi più blasonati del settore, da Fausto Zevi, accademico dei
Lincei e professore emerito di storia dell'arte greca e romana
alla Sapienza di Roma, a Carmine Ampoli, emerito di storia greca
alla Normale di Pisa e Pier Giovanni Guzzo, per tanti anni alla
guida degli Scavi di Pompei, con l'introduzione dell'accademico
Roberto Antonelli.
Sarebbero stati insomma gli etruschi, molti secoli prima che
la città diventasse una colonia romana, a fondare Pompei, a
darle forma con le mura, ad organizzare le sue strade "seguendo
il cielo e le stelle" come già avevano fatto per Tarquinia,
Veio, Cerveteri, le città dalle quali sembrano essere arrivati i
suoi primi abitanti. Uomini etruschi avrebbero fondato i primi
santuari, a partire da quello fuori della città sulla via che
dall'abitato portava al porto di Stabiae, snodo di fortunati
traffici commerciali. A spingere "con insistenza" verso
l'ipotesi di una fondazione etrusca, spiega Osanna, sono
innanzitutto degli oggetti: centinaia di anfore, vasi e ampolle
tra cui oltre 70 coppe con iscrizioni ritrovate nello scavo del
santuario costruito lungo la strada che collegava la città al
mare, una costruzione a pianta rettangolare e a cielo aperto,
riemersa a poche centinaia di metri dalle mura meridionali della
città, in quello che viene indicato come il "Fondo Iozzino", dal
nome del suo antico proprietario. Il tempio era stato
individuato già negli anni '60 e scavato ancora negli anni '90 -
spiega l'archeologo - ma i reperti più interessanti e lo studio
sistematico di questi sono cronaca dei nostri giorni, con la
campagna di scavi avviata nel 2014. Un ritrovamento, sottolinea,
che fa di Pompei "il luogo che ha restituito il maggior numero
di iscrizioni etrusche fuori dall'Etruria". Già, perché molte di
queste coppe recano graffiti con frasi rituali accompagnate dal
nome di chi ha fatto l'offerta. E guarda caso si tratta sempre
di nomi etruschi, alcuni dei quali mai ritrovati prima in
territorio campano, ma ben conosciuti nei centri etruschi del
centro Italia. Anche la divinità onorata, su questi oggetti
indicata sempre con il generico "Apa" ("padre" in etrusco),
sembra rimandare alla cultura religiosa etrusca.
Un'evidenza che si ripete, fa notare l'archeologo, "per il
santuario di Apollo, la principale area sacra pompeiana,
prossima alla piazza pubblica" dove gli scavi storici e quelli
più recenti hanno restituito coppe con iscrizioni "ancora una
volta in alfabeto e lingua etrusca". L'architettura anche del
centro urbano invece è diversa, come dimostrano gli scavi
recenti nel santuario di Apollo e nel Foro Triangolare. In
qualche modo lontana da quella etrusca come del resto da quella
greca. "A ben vedere si tratta di uno stile in generale assente
nel pur ricco panorama di centri campani", fa notare Osanna.
L'ipotesi è insomma quella di una città che viene fondata e
costruita nell'arco di pochi decenni da un gruppo di persone, in
parte forse anche schiavi liberati, una comunità di lingua e
cultura etrusca che però per costruire mura, case e templi si
avvale di "maestranze locali", influenzate dal melting pot di
culture che allora animava il territorio campano, dagli italici
ai greci. Una comunità che dalle sue origini si contamina e si
arricchisce di influenze diverse. Una città ricca e potente, che
dominava il territorio e aveva nella vicina Stabiae un suo
centro satellite; che aveva mille contatti e commerci e nello
stesso tempo onorava i valori e i culti delle sue origini. Tutto
questo fino ad un tragico stop. Che arrivò nel 474 a. C. e non
per colpa del Vesuvio, come sarà cinque secoli più tardi per la
colonia romana, bensì per le conseguenze di una storica
battaglia navale, quella di Cuma, che i greci vinsero, appunto,
contro gli etruschi. Pompei, che in quello "scacchiere
internazionale" era schierata dalla parte della madrepatria,
dopo quella battaglia di fatto sparì, abbandonata anche dai suoi
abitanti. E un po' come una damnatio memoriae, il buio che per
decenni calò sulle sue case e i suoi santuari si portò via
anche il ricordo dei suoi fondatori. (ANSA).