(di Massimo D'Antoni)
Il giudice monocratico del
tribunale di Sciacca, Giorgia Cotroneo, ha condannato la
Repubblica Federale di Germania, "quale governo successore del
Terzo Reich", a risarcire con quasi 80mila euro gli eredi di
Pietro Buscetta, riconosciuto vittima di deportazione, prigionia
di guerra e riduzione in schiavitù.
L'uomo, originario di Partanna, nel Trapanese, e morto nel
1992, aveva preso parte alla seconda guerra mondiale come
allievo finanziere di terra. Nel 1943 aveva fatto parte del XIV
Battaglione Mobilitato, impegnato in operazioni belliche al
confine italiano lungo i Balcani. Dopo l'armistizio dell'8
settembre Buscetta avrebbe dovuto fare ritorno a casa. Ma, come
altri 600 mila militari italiani, fu catturato in territorio
italiano dai militari tedeschi, ancora presenti nel Nord Italia,
e deportato in un campo di detenzione in Germania, dove rimase
per due anni, fino al primo ottobre del 1945.
Periodo nel quale il soldato fu ridotto in stato di
sostanziale schiavitù, privato dello status di prigioniero di
guerra, costretto a lavori usuranti e non retribuiti, denutrito,
percosso, privato delle scarpe e sottoposto a condizioni
igieniche pessime.
Il tribunale di Sciacca, in provincia di Agrigento, ha dunque
ritenuto fondato l'atto di citazione presentato dai quattro
figli dell'uomo, considerando il trattamento subito da Buscetta
come "crimine di guerra e contro l'umanità, lesivo dei diritti
inviolabili della persona".
In ordine al procedimento, l'Ambasciata tedesca in Italia
aveva invocato l'immunità giurisdizionale in quanto stato
estero. Ma il giudice, facendo anche ricorso ad alcune sentenze
precedenti della stessa Cassazione, non ha accolto l'eccezione.
Un pronunciamento specifico della Suprema Corte considera che
"l'assoggettamento ai lavori forzati debba essere annoverato tra
i crimini di guerra".
Durante le udienze è stata ammessa la testimonianza di un
nipote di Pietro Buscetta, che ha riferito il contenuto di un
racconto di anni prima in cui lo zio, parlando proprio del
periodo in cui era stato prigioniero in Germania, ricordava di
come fosse stato costretto "a mangiare bucce di patate o
erbaccia", e di come , quando non riusciva a raggiungere gli
obiettivi di produzione dei lavori forzati a cui era costretto,
veniva "bastonato a sangue".
Ancora, Buscetta aveva raccontato di avere tentato la fuga
insieme ad altri prigionieri. I nazisti li sorpresero, sparando
contro di loro. Buscetta si salvò perché si finse morto.
Riuscito finalmente a scappare, tornò a casa dopo un viaggio
lungo e difficile, in parte a piedi in parte con mezzi di
fortuna, giungendo a Partanna denutrito e irriconoscibile.
"La responsabilità di tali fatti - osserva il giudice nella
sua sentenza - deve essere ascritta al Terzo Reich trattandosi
di crimine commesso dalle forze armate tedesche".
Il giudice ha respinto la richiesta di risarcimento del danno
patrimoniale (invocato dai figli di Buscetta per la mancata
percezione di retribuzione a fronte del lavoro prestato durante
il periodo di deportazione), mentre ha accolto la richiesta del
danno non patrimoniale, quello scaturito dalle sofferenze
fisiche e psichiche subite dal soldato durante la prigionia per
la ingiusta privazione della libertà personale. Risarcimento
quantificato in 40mila euro più la stessa somma per gli
interessi maturati nel corso degli anni.
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