(ANSA) - PALERMO, 17 LUG - I depistaggi su Paolo Borsellino
erano cominciati quando il magistrato era ancora in vita e come
capo della procura di Marsala aveva promosso importanti
inchieste sulla mafia. Nei ricordi di Massimo Russo, che a quel
tempo era uno dei sostituti che lavoravano al fianco di
Borsellino, riaffiora il caso di Vincenzo Calcara, pentito molto
loquace ma con tante ombre. Un giorno Calcara si presentò dal
magistrato, lo abbracciò e confessò di essere stato incaricato
di ucciderlo con un fucile di precisione.
Solo dopo qualche tempo si scoprì che Calcara aveva inventato
quella e tante altre storie. "Non era vero nulla, Calcara non
era nessuno nella mafia", dice Russo per il quale si stava in
quel momento sperimentando un depistaggio con molte analogie con
il caso di Vincenzo Scarantino. Calcara è da considerare quindi
un "depistatore ante litteram".
La sua "confessione" non ha prodotto altre conseguenze a
differenza di quella confezionata attraverso Scarantino che a
distanza di trent'anni continua a produrre effetti devastanti
nella ricerca giudiziaria della verità. Due le criticità
individuate da Russo per spiegare il grande depistaggio: una
"caduta professionale da parte dei magistrati che fino alla
Cassazione non hanno saputo sventare la colossale bugia e un
debole filtro critico dell'informazione".
Al tempo in cui, da procuratore di Marsala, Borsellino
rischiava di essere perfino sanzionato dal Csm per le sue
denunce sul calo di tensione nella lotta alla mafia ai giovani
colleghi raccomandava: "Distinguere sempre le persone dalle
istituzioni che rappresentano". Dopo trent'anni Massimo Russo
ricorda quel messaggio come una "grande lezione civile". Lo era
soprattutto per lui, che da gip era passato in procura anche per
la forza attrattiva che esercitava la storia professionale del
nuovo capo. Borsellino non era solo il magistrato autorevole e
impegnato ma anche il "collega della porta accanto che aveva con
i suoi sostituti un rapporto umano, gioviale e fraterno".
Tra le indagini promosse a quel tempo dalla procura di
Marsala c'era anche quella sulla guerra di mafia di Partanna,
affidata ad Alessandra Camassa, che raccolse il contributo di
Piera Aiello e di Rita Atria. Proprio con Atria, che aveva solo
17 anni, Borsellino aveva stabilito un rapporto così forte che
la giovane decise di suicidarsi: con la strage le era venuta a
mancare la figura paterna che non aveva mai avuto.
Borsellino era intanto rientrato a Palermo come procuratore
aggiunto. Quasi un mese prima che fosse assassinato, Russo e
Camassa andarono a trovarlo. "Trovammo - ricorda Russo - un uomo
piegato dal dolore per la fine di Giovanni Falcone. Aveva le
lacrime agli occhi. Si abbandonò sul divano. 'Un amico mi ha
tradito', disse. E aggiunse di sentirsi in un 'nido di vipere'.
Sul momento pensammo a uno sfogo segnato dall'amarezza. Quando
ci rendemmo conto che in quelle parole c'era il senso di un
grande dramma umano ne abbiamo riferito anche in aula".
Borsellino aveva chiaro il seguito della storia. E per
questo mostrò a Russo e Camassa la sua condizione di un uomo
molto provato. (ANSA).
Borsellino: ex pm Russo, depistaggi iniziati a Marsala
Sulla sua strada un falso pentito anticipò il caso Scarantino
