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Livatino: Pm Paci, ecco l'eredità del giudice beato

Oggi è procuratore a Reggio Calabria grazie al suo esempio

Redazione ANSA AGRIGENTO

(di Maxi Firreri) (ANSA) - AGRIGENTO, 09 MAG - Gaetano Paci non aveva compiuto 26 anni quel 21 settembre 1990, quando venne ucciso Rosario Livatino. Aveva superato gli orali del concorso in magistratura e, forte dell'esempio di quanti dimostravano che la mafia e l'illegalità non erano un destino ineluttabile, voleva rimanere a lavorare nella sua terra per contribuire a renderla più giusta e più libera. Lui, come Livatino, è di Canicattì, in provincia di Agrigento e oggi, dopo essersi occupato di delicate inchieste antimafia a Palermo, è Procuratore aggiunto a Reggio Calabria.
    Questa mattina anche lui era nella Cattedrale di Agrigento per assistere alla cerimonia di beatificazione di un magistrato che per lui "è stato un esempio".
    "Nel 1990, ancora sconvolto per il duplice barbaro omicidio del Presidente Antonino Saetta e del figlio Stefano, apprendevo sgomento che in tanti, anziché condannare con fermezza, si affannavano a cercare una giustificazione all'ennesimo orrendo crimine ai danni di un servitore dello Stato. Chissà di quale colpa doveva essersi macchiato il 'povero' Livatino per meritare quella fine, si chiedevano in tanti, i benpensanti del mio paese".
    Quando Livatino venne ucciso, Gaetano Paci era in procinto di entrare in Magistratura: "L'idea che si potessero addirittura insinuare dubbi sull'operato di chi aveva perso la vita soltanto perché aveva osato svolgere il proprio dovere, non faceva che rafforzare la mia determinazione", dice.
    "Ricordo - sono ancora le parole del magistrato - che l'omicidio di Rosario Livatino ebbe l'effetto di generare un paradosso: proiettò la sua figura al di fuori del circoscritto ambito familiare e professionale nel quale egli l'aveva mantenuta, con l'umiltà e la riservatezza che lo caratterizzavano, per farla assurgere a espressione universale di una visione moderna della giustizia, di uno stato di diritto forte, in grado di tutelare i cittadini, specie coloro che non hanno mezzi per rivendicare i loro diritti".
    "Proprio in questo - sottolinea il Pm - risiede l'attualità della figura di Rosario Livatino: nell'autentica libertà e indipendenza con cui egli intese svolgere il suo ruolo". La frase in siciliano "ma cu ci lu fici fari?" era quella che Paci ebbe modo di ascoltare in paese da diverse persone. E oggi il magistrato che ha invece seguito quell'esempio risponde: "Davanti la figura di Livatino non vale più la pena ricordare quella frase: vale l'eredità che il 'giudice ragazzino' con la sua vita e la sua morte ci consegna: la credibilità, la fiducia nelle istituzioni, la speranza in uno Stato capace di smantellare la cultura mafiosa", conclude Gaetano Paci. (ANSA).
   

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