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Uccise marito violento, definitiva condanna a 16 anni

Uccise marito violento, definitiva condanna a 16 anni

Sentenza Cassazione su omicidio del 2017

TORINO, 11 gennaio 2022, 19:21

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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E' diventata definitiva la condanna a 16 anni di carcere per Ana Fernando Nhare, la donna originaria del Mozambico che il 15 agosto 2017, a Basaluzzo (Alessandra), uccise a coltellate il marito, Walter Corradini.
    Nel corso dei processi l'imputata ha affermato di essere stata vittima per anni di angherie e soprusi da parte dell'uomo, descritto come irascibile e manesco.
    La Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ultimo ricorso, convalidando così la sentenza pronunciata dalla Corte di assise d'appello di Torino il 29 gennaio 2020. In primo grado la donna era stata condannata a 30 anni.
    Ana Fernando Nhare - come ha ribadito la Cassazione - dichiarò che alle 6 del mattino del 15 agosto attese che il marito si alzasse e andasse in bagno. Quindi, secondo quanto ricostruito dalle indagini, lo trafisse con diverse coltellate (quattro alla schiena e otto al torace) senza desistere nemmeno all'arrivo dei figlio. In aula si disse esasperata dai ripetuti maltrattamenti.
    I supremi giudici, nel respingere le tesi della difesa, si sono richiamati ad alcuni principi stabiliti dalla giurisprudenza in materia e hanno accettato l'impostazione della Corte subalpina, certificando che fu "corretta ed esauriente".
    Non si trattò di un caso di legittima difesa reale e nemmeno putativa. Inoltre "non è sostenibile - si legge nella sentenza depositata oggi - la tesi di una reazione 'da accumulo' o di una 'esplosione' che ebbe come effetto scatenante un litigio avvenuto due giorni prima". La reazione, anzi, non fu "immediata" ma "meditata". Anche sul contesto dei maltrattamenti la versione della donna non è stata completamente accettata: i magistrati hanno preferito parlare di "contesto di reciproci atti violenti e reciproche provocazioni". Non serviva, infine, nemmeno una nuova visita psichiatrica: la prima aveva accertato che l'imputata era capace di intendere e volere, e non si poteva definire "decisiva" la testimonianza di un sanitario ("peraltro non specialista") che aveva descritto Ana come depressa e preoccupata. Con la sentenza sono state confermate le attenuanti generiche equivalenti rispetto alle aggravanti.
   

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