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L'8 marzo di Maria e Janada, schiave Boko Haram

Oggi l'incontro con il Papa e con la premier Giorgia Meloni

(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 08 MAR - Maria e Janada sono due giovani donne nigeriane. Piccole, con lo sguardo triste, una voce flebile che si fa fatica a sentire. Nei loro occhi c'è ancora la paura delle violenze subite; nei loro occhi ci sono soprattutto le lacrime che non riescono a trattenere.
    Quello di Maria Jospeh, 19 anni, e Janada Markus, 22, è l'altro 8 marzo. Sono due vittime di Boko Haram, il gruppo jihadista che imperversa in Nigeria e che scatena ogni tipo di violenza sulle donne di fede cristiana.
    Le due ragazze questa mattina hanno incontrato Papa Francesco e gli hanno chiesto "di aiutare le persone che soffrono". Perché loro, che hanno subito violenze efferate, sono comunque riuscite a fuggire e pensano ogni giorno alle vittime che sono tuttora nelle mani dei gruppi terroristici.
    Le due giovani donne incontrano anche la premier Giorgia Meloni ed avranno riunioni istituzionali ai massimi livelli sia per quanto riguarda la Santa Sede che le istituzioni italiane, dal card. Pietro Parolin al ministro degli Esteri Antonio Tajani, dagli ambasciatori presso la Santa Sede al presidente della Camera Lorenzo Fontana. Ad organizzare l'evento è la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre che chiede di "ascoltare anche la loro voce" e che da mesi sostiene le loro cure psicologiche.
    Maria ha vissuto nove anni nel bosco con i terroristi. "Sono venuti nel nostro villaggio in silenzio, non sparavano e ci hanno catturato tutti, a me hanno messo in una gabbia". Una gabbia, come si fa con gli animali. "Ma gli animali sono loro, sembrano persone ma non lo sono" dice Janada. E lei poi racconta che era "nella fattoria con la sua famiglia quando all'improvviso siamo stati circondati dagli uomini di Boko Haram. Hanno puntato un machete contro mio padre e gli hanno detto che ci avrebbero rilasciati se lui avesse fatto sesso con me. Lui si è rifiutato, gli hanno tagliato la testa".
    Entrambe ora sono accolte dal 'Trauma Center' di padre Joseph Fidelis Bature sostenuto da Acs. "Quando sono arrivate non riuscivano neanche a parlare", racconta il sacerdote. La speranza ora per Maria è "la liberazione degli altri ancora catturati". Janada quando pensa al futuro parla invece dei suoi studi per curare le malattie tropicali.
    "Oggi che che si celebra l'8 marzo - dice Sandra Sarti presidente di Acs - chiediamo di ascoltare il loro grido di dolore". Per il direttore Alessandro Monteduro "è un 8 marzo diverso perché vogliamo raccontare che ci sono delle donne due volte vittime: dell'azione dei loro aguzzini e vittime anche, purtroppo, di una sostanziale indifferenza da parte delle società occidentali". Ma oggi per le due giovani è un giornata di riscatto: "Come regine", sottolinea Monteduro, ricordando i loro incontri con le tante istituzioni. "Poi spetterà a noi andare avanti perché la loro condizione possa migliorare".
    (ANSA).
   

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