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Piano e la casetta a Rebibbia, "il carcere non sia vendetta"

Piano e la casetta a Rebibbia, "il carcere non sia vendetta"

L'architetto inaugura la struttura per l'affettività

ROMA, 19 ottobre 2021, 14:39

Redazione ANSA

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Una casetta rossa, piccola piccola e semplice come fosse uscita dalla matita di un bambino. Ma con dentro tutto quello che serve a ricordare la vita di fuori, la famiglia, gli affetti, la normalità dei sentimenti. Renzo Piano inaugura nel carcere femminile di Rebibbia a Roma Ma.Ma, la Casa per l'affettività e la maternità, di fatto uno dei suoi "rammendi" nelle periferie d'Italia, e sorride fiero in posa tra le detenute che per due anni, insieme con i tre giovanissimi architetti e la professoressa Pisana Posocco che li ha coordinati si sono impegnate a costruirla. "Una piccola cosa", sottolinea, "una scintilla in un tema complesso come quello delle carceri, ma le scintille contano". E la casetta di Rebibbia, dice l'architetto senatore, 28 metri quadrati in un boschetto che già da solo dà l'idea del rifugio, ha in sé proprio questa speranza. "Modesta nelle dimensioni, grandiosa nelle ambizioni", spiega alla piccola platea raccolta per l'inaugurazione, in prima fila la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, il preside della Facoltà di architettura de la Sapienza Orazio Carpenzano, la direttrice del carcere Alessia Rampazzi. "Certo non risolverà i problemi delle carceri, ma rinforza l'idea che il carcere non deve essere punizione e vendetta, piuttosto un luogo in cui si cambia". Realizzata in collaborazione con l'Università e la Facoltà di Architettura, terminata nel 2019 poi congelata dal lockdown, la casetta comincerà ora la sua vita, spiega la direttrice, ospitando a rotazione le detenute con le loro famiglie, alle quali verrà offerta qualche ora di normalità, anche per pensare al 'dopo', per fare una prova di futuro. "Uno spazio per vivere i sentimenti", suggerisce Piano, che si guarda curioso intorno, osserva il piccolo drappello di detenute, sorride paterno ai tre progettisti Tommaso Marenaci, Attilio Mazzetto e Martina Passeri, borsisti del suo progetto del G124. L'argomento carcere lo appassiona: "non ne ho mai costruito uno ma il tema mi ha sempre attratto come quello della sanità, della scuola: sono i luoghi della civiltà, quelli dove i riti civili trovano spazio". Poi un augurio che suona come un appello: "i progetti sono come i figli, mi auguro che abbia una vita felice".
   

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