Agli antipodi del Guggenheim di
Bilbao o della Disney Hall di Los Angeles, di quelle svolazzanti
vele di titanio che scintillano al sole come per prendere il
volo: a Filadelfia, per uno dei suoi progetti più ambiziosi di
una lunghissima carriera, Frank Gehry si è "nascosto sotto le
coperte". Il Philadelphia Museum of Arts ha riaperto il 7 maggio
al pubblico dopo quattro anni di lavori che, sotto la direzione
dell'architetto premio Pritzker, lo hanno smontato e ricostruito
dall'interno dando ai suoi committenti quanto chiedevano:
chiarezza, luce e spazio e un pizzico di Piranesi.
La scalinata di Rocky resta intatta, almeno per ora. E' dal
2006 che il 92enne Gehry lavora al progetto dopo esser stato
avvicinato dall'allora direttrice Anne D'Harnoncourt.
L'architetto ha lasciato che il museo gli guidasse la mano.
L'edificio Beaux Arts disegnato negli anni Venti da Horace
Trumbauer e l'afro-americano Julian Abele "aveva molto da
offrire, ma era intasato da un auditorium centrale aggiunto nel
1959 che ostacolava la circolazione", ha spiegato il premio
Pritzker. Demolirlo è stato l'atto più coraggioso dell'intero
progetto da 233 milioni di dollari: il museo ha guadagnato una
"piazza" interna con soffitti di 12 metri che servirà, dopo la
pandemia, a ospitare grandi eventi, mentre oggi i suoi spazi, a
cui si accede con una scala a tre livelli ispirata alle
incisioni di Piranesi, fanno cornice all'installazione "Fire
(United States of Americas)" di Teresita Fernandez, una
monumentale mappa decostruita degli Stati Uniti in cui ogni
stato è un pezzo di carbone.
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