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Sla: terapia genica si affaccia tra possibilità per la cura

Esperto, per una forma di malattia, si spera in effetto-domino

Roma ANSAcom

Il possibile utilizzo della terapia genica si affaccia anche nella cura della Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, di cui domenica si celebra la giornata nazionale.

Vi sono degli studi preliminari che dimostrano che in una forma particolare di Sla legata a un gene denominato Sod1 - il primo scoperto nel 1993 e che rappresenta la causa della malattia nel 3% di tutte le forme - manipolando l’Rna del gene la malattia tende a fermarsi. A illustrare questa novità in un evento Ansa Incontra è il Mario Sabatelli, presidente della Commissione Medico Scientifica Aisla e direttore clinico del Centro Clinico Nemo Roma, area adulti, presso il Policlinico Gemelli.

“Si è concluso il secondo studio su un numero ancora più grande di persone e dovremmo avere i risultati a giorni – evidenzia Sabatelli - ma la sensazione è che ci siamo. Quindi con la terapia genica probabilmente, ed è una svolta storica per questa malattia, possiamo fermare la malattia in un sottogruppo di persone”. “La mia speranza - sottolinea l’esperto - è che questo poi porti a una sorta di ‘effetto domino’. Vuol dire che continueremo a studiare ancora di più la componente genetica della malattia e dobbiamo sforzarci di capire quali geni predispongono. Sono convinto che questo determinerà una possibilità terapeutica anche per la gran parte delle forme di Sla per le quali ancora non abbiamo una terapia”. In generale, spiega Sabatelli, “la ricerca ha fatto dei grandi passi in avanti negli ultimi 30 anni. La malattia è dovuta a una degenerazione delle cellule nervose che collegano la corteccia cerebrale ai muscoli, i motoneuroni. Queste cellule degenerano, muoiono, senza una causa apparente. Per molti anni si sono studiati fattori ambientali, attività lavorative. La famosa storia di Sla e calcio, ad esempio, va limitata e demitizzata perché è vero che in 40 anni si sono ammalate 35 persone che giocavano in serie A o B, ma si sono ammalate anche 60mila persone che non praticavano questo sport”. “La svolta - aggiunge - è stata all’inizio degli anni ‘90 quando si è cominciato a capire che in alcune forme vi era un’evidente causa genetica. Solo in un 10% dei casi però la malattia è ereditaria, nel 90% non lo è e non ci sono rischi per i familiari. Ma dalla ricerca sulle forme familiari si è scoperto che le predisposizioni genetiche hanno un ruolo fondamentale, anche se questo non significa che chi ha un’alterazione svilupperà la malattia”.

In collaborazione con:
Aisla

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