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In 40 anni 329 trapianti cuore a bimbi, memorie di un medico

In 40 anni 329 trapianti cuore a bimbi, memorie di un medico

"Ho visto persone attraversare le Ande" di Francesco Parisi

ROMA, 24 dicembre 2021, 11:39

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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"In 40 anni ho seguito 329 trapianti di cuore in altrettanti bambini a cui, nella grande maggioranza dei casi, è stata data l'opportunità di crescere e avere una vita normale, o quasi. Per ognuno, la stessa emozione tra il momento in cui si inserisce un nuovo cuore nella gabbia toracica e quello in cui il cuore donato ricomincia a battere". A raccontarlo, con gli occhi del medico e dell'uomo, è Francesco Parisi, per quattro decadi in forze all'Unità di Trapiantologia Toracica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma e autore del libro, "Ho visto persone attraversare le Ande (Carlo Delfino Editore, 2021, 224 pagine) uscito a ottobre e già in seconda ristampa.
    "Non mi piace pensarle come vittorie, ma come nuove possibilità di vita" e "il successo più grande è vedere questi ragazzi diventare genitori", racconta. Dagli albori della trapiantologia pediatrica, nei primi anni '80, alla pensione, a inizio 2021, questa autobiografia professionale percorre, come un romanzo di formazione, le tappe scandite dalle storie dei piccoli pazienti. Come Andrea Mongiardo, che nel 1994 ricevette il cuore di Nicholas Green, il bimbo americano ucciso mentre era in vacanza in Italia e diventato simbolo del valore della donazione degli organi. "Ho cominciato a lavorare al Bambino Gesù nel 1982. Nel febbraio 1986 - ricorda - abbiamo fatto il primo trapianto di cuore a un bimbo di un anno, Ivan, che pesava solo dieci chili. Quando cominciammo, non si aveva idea di quanto questi pazienti potessero vivere, di come e di quali esigenze potessero avere nel tempo". Un trapianto pediatrico, infatti, è diverso da quello dell'adulto. "All'adulto metti un nuovo cuore e quello rimane. Nel bambino l'organo che trapianti deve cresce con lui, quindi è tutto in evoluzione, una sfida in più da affrontare".
    Con i pazienti operati si istaura sempre un legame molto stretto, ma "il punto centrale è il primo incontro: quando diciamo a una famiglia che il figlio, che ha una malformazioni o un'anomalia congenita, andrà incontro a un trapianto, la notizia esplode come una bomba. Il nostro compito è cercare di normalizzare il più possibile una vita, che altrimenti non sarebbe normale. Il successo più grande e in parte inaspettato, da questo punto di vista, sono le ragazze che abbiamo trapiantato e che sono riuscite a portare a termine una gravidanza, come Giulia, trapiantata all'età di un anno e mezzo, nel 1988, e che nel 2019 ha messo al mondo una figlia". Ma, anche in questo caso "non ha senso parlare di vittoria. Nel senso che non c'è una guerra. Allo stesso modo un paziente che muore non è una sconfitta. Non sempre riusciamo a salvare loro la vita, perché ci sono molti elementi che possono incidere. E i pazienti lo sanno. Quello che invece ci chiedono, e si deve fare, è stare loro accanto". "A questi pazienti - racconta - devo quello che sono ora. Loro mi hanno insegnato la spinta a vivere che tutti dovremmo avere".
    La stessa che spinse l'uruguaiano Roberto Canessa, poi diventato cardiologo pediatrico e autore della prefazione del libro di Parisi, ad attraversare a piedi la Cordigliera delle Ande dopo esser sopravvissuto a un disastroso incidente aereo. "Si possono fare cose incredibili - conclude l'autore -impegnandoci al cento per cento in quello che facciamo". 
   

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