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Vacanze e relax, come riuscirci all'epoca dell'iper connessione

Vacanze e relax, come riuscirci all'epoca dell'iper connessione

Nomofobia e tecnostress da combattere

24 luglio 2021, 13:43

di A.M.

ANSACheck

Con lo smartphone in ansia foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Con lo smartphone in ansia foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
Con lo smartphone in ansia foto iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Le vacanze estive, per chi può farle, sono per definizione una pausa, una vacatio, una sospensione dagli obblighi, e dunque le associamo al relax, allo stacco da tutto e tutti. Sono, o meglio dovrebbero, essere il momento per dedicare più tempo a se stessi, a cio' che ci fa stare bene, per recuperare energia, benessere mentale e positività e e ricaricarsi in vista della ripresa delle attività normali. Ma esiste ancora il relax nell’epoca dell’iper connessione, dei social e della continua condivisione? Cosa succede se le vacanze si trasformano in un’occasione per stare incollati ancora di più ai propri smartphone?
Ne parliamo con la dottoressa Rossella Valdrè di Guidapsicologi.it, che ci spiega come riconoscere nomofobia e tecnostress e come sfruttare le vacanze per combattere queste patologie, dandoci preziosi consigli e raccomandazioni su come mettere in pratica un vero e proprio digital detox che non si limiti esclusivamente alla vacanza, ma che si estenda invece al dopo vacanza.
In cosa consiste la nomofobia e chi sono i soggetti maggiormente colpiti?
«Nomofobia è un termine coniato di recente, che unisce l’inglese no-mobile e fobia, per indicare la fobia di restare non connessi al dispositivo cellulare, di trovarsi anche per un tempo molto breve non rintracciabili al cellulare. Diverse ricerche hanno visto che questo può dar luogo ad una vera e propria sindrome di dipendenza, analoga a tutte le dipendenze, al punto che qualcuno ha proposto di inserirla fra i Disturbi di dipendenza nel DSM V, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – una delle principali classificazioni diagnostiche in psichiatria», dice la psicologa. «Il soggetto che scivola nella nomofobia porta sempre con sé il cellulare, giorno e notte, anche quando dorme, lo controlla incessantemente alla ricerca di messaggi, risposte, news, condivisioni o altro, si allarma se non riceve nulla e si eccita, al contrario, se riceve una notifica, sviluppa ansia o anche panico se non ha il cellulare con sé, sino ad una vera e propria astinenza se ne viene privato come è tipico di tutte le dipendenze. Quanto ai soggetti più colpiti, benché oggi possa capitare a tutti, sono certamente gli adolescenti e i bambini, cioè i nativi digitali, coloro nati in un’epoca già dotata di tutte le tecnologie, ad essere più a rischio. Ciò accade non solo perché gli adolescenti sono più esperti nell’usare il mezzo, ma perché lo smartphone costituisce per loro un oggetto altamente investito sul piano affettivo e simbolico: è il mezzo con il quale si connettono al gruppo dei pari e al gruppo sociale, con il quale si scambiano opinioni, con il quale condividono su Facebook o Instagram l’immagine di sé, con il quale si controllano e si contattano reciprocamente, fino a volte all’ossessività, nei loro primi rapporti affettivi. A seconda dei contatti che ricevono, è il mezzo con cui misurano la loro autostima, o all’opposto che li può isolare dal mondo se il mondo è troppo frustrante. Tutto questo può valere anche per l’adulto, ma trova nella fragilità narcisistica dell’adolescente un terreno d’eccezione».
Il ritiro psichico. Come si manifesta, perché e quali sono i pericoli, soprattutto nei bambini «Nei bambini e negli adolescenti si può certamente parlare di un pericolo. Se usato bene, il cellulare come tutta la tecnologia può aiutare ad aumentare contatti e conoscenza e quindi a sviluppare la creatività, ma se usato al di fuori dello studio e della ricerca e per i motivi di pura ossessiva connessione detti sopra, di esasperata conferma narcisistica attraverso i social, il rischio principale è di isolare l’adolescente o il bambino, ancora peggio, in un mondo autarchico di fantasia, scollegato dalla realtà, in quello che noi psicoanalisti chiamiamo un “ritiro psichico”, che poi si nutre e si alimenta nel tempo, diventando sempre più profondo, e spiega la ragione di tanti crolli quando l’adolescente si trova ad affrontare le prime prove della vita. Il ritiro psichico illude di un mondo autocreato, onnipotente, magico, bloccando così lo sviluppo emotivo e certamente anche la vera creatività. Nelle persone più adulte il rischio è di una chiusura nell’isolamento, come difesa da una realtà evidentemente frustrante», afferma la dottoressa Rossella Valdrè.
Tecnostress.Come riconoscerlo e quali sono le conseguenze
«Per tecnostress si intende in generale l’intenso stress causato dall’eccessiva esposizione agli strumenti tecnologici, in genere per ragioni lavorative. È un termine in uso soprattutto all’interno delle aziende e delle politiche del lavoro, che fu coniato per la prima volta nell’84 da Craig Brod. Da allora, si è prodotta una sufficiente letteratura e l’impatto del tecnostress sul lavoratore è certamente cresciuto; oggi, con la pandemia, abbiamo ragione di ritenere che crescerà inevitabilmente ancora. Lo si riconosce quando il soggetto trascorre un eccessivo numero di ore esposto a mezzi tecnologici, ad esempio il computer. Brod riconosceva due forme di tecnostress: quello, diciamo, del principiante, che lotta per accettare tale carico di lavoro, e quello della persona più preparata che si è identificata col mezzo. Il soggetto può sviluppare sintomi fisici da sovraccarico come insonnia, disturbi dell’appetito, ricorso all’alcool o all’eccesso di cibo, o sintomi psichici come ansia, depressione, astenia, una vasta gamma di sintomi, e un generale deterioramento della qualità di vita», continua Valdrè.

Le vacanze rappresentano potenzialmente un rischio per chi soffre di nomofobia e tecnostress
«Da un lato, la vacanza può rappresentare un rischio perché il soggetto si trova ad avere più tempo a disposizione, o perde i suoi normali punti di sicurezza e riferimento, e quindi rifugiarsi ancora di più nel cellulare e nel mondo protetto del ritiro psichico che questo comporta; ma la vacanza può anche rappresentare un’opportunità» dice la dottoressa. Come trasformare le vacanze nell'occasione per combattere la nomofobia e il tecnostress «Le raccomandazioni non sono facili, se abbiamo detto che si tratta, a livelli avanzati, di vere e proprie dipendenze. Per sottrarsi occorre avere qualcos’altro su cui investire, da cui ricavare un’altra fonte di piacere e rifornimento narcisistico: la vacanza, ma direi anche il dopo vacanza, può diventare un’occasione per allargare i propri interessi, trovare altre fonti di stimolo che possono essere sia attività, sia rapporti con persone o anche un diverso rapporto con se stessi, con la propria immagine. I bambini, che abbiamo visto essere i più a rischio, devono stare con gli adulti di riferimento e con altri bambini, non lasciati soli davanti a un cellulare, mentre per gli adolescenti il discorso è più delicato perché qui l’intervento adulto viene meno ascoltato, benché sia sempre essenziale che i genitori non si tirino indietro di fronte a un ragazzo che vive ritirato nel suo smartphone, ma facciano sentire viva la loro presenza, anche una presenza polemica. Quanto ai lavoratori che subiscono tecnostress, si tratta di modificare le politiche aziendali a favore di tempi e orari e mansioni più compatibili con le capacità umane di gestire il carico di informazioni, e di seduzione, che le nuove tecnologie comportano, tenendo conto da un punto di vista psicologico che le tecnologie avranno sempre per noi una doppia faccia, da un lato possono sviluppare capacità e creatività, ma dall’altro possono inibirle perché inducono dipendenza e ritiri psichici in soggetti fragili e predisposti», conclude la dottoressa Rossella Valdrè.
E per chi non ha queste forme di dipendenza ma è comunque molto legato alla connessione, che poi è una gran parte delle persone? Il tema della 'distrazione' vale per tutti, avere occhi per altro, che siano i panorami delle nostre vacanze o attività di qualunque genere o l'ozio magari con la lettura di un buon libro, tutto questo aiuta a mettere la testa su altro che non sia lo smartphone. Una vacanza digital detox, dedicando ai social solo pochi momenti al giorno, non è facile per chi appunto ha nella propria routine di essere sempre connesso ma provare a cambiare abitudine è fattibile sapendo che è qualcosa che ci fa bene e ci fa riappropriare del reale. Ci sono anche in italia strutture turistiche che offrono percorsi per disintossicarsi dal virtuale, vacanze dove la connessione internet è precaria e persino a volte bandita, durante il giorno vengono organizzate attività a contatto con la natura e in cui – soprattutto – si impara a condividere l’esperienza con le persone che si hanno accanto. E non con quelle che ci sono, ma dietro lo schermo dello smartphone.

 

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