(di Simonetta Dezi)
Il teatro li rende liberi, liberi di
sperimentare una nuova dimensione personale e sociale. Il teatro
li libera là dove la loro condizione è ancora quella di reclusi.
Chi tra i detenuti ha provato l'esperienza di calcare il
palcoscenico, grazie ai percorsi di integrazione organizzati in
vari istituti penitenziari italiani, parla spesso di una
trasformazione, a volte addirittura di un radicale cambiamento.
Perché oltre i cancelli del carcere c'è vita, la stessa che
troviamo fuori e il teatro può contribuire a costruire il
famoso ponte tra comunità penitenziaria e società esterna.
La professoressa Valentina Venturini, docente di Storia del
teatro all'Università Roma Tre, che da diversi anni lavora per
portare la cultura teatrale all'interno del carcere, ci informa
con grande entusiasmo che l'importanza della recitazione per i
reclusi finalmente è arrivata in parlamento. Nel novembre scorso
è infatti iniziato alla Camera dei i deputati l'esame della
proposta di legge per la promozione e il sostegno delle attività
teatrali negli istituti penitenziari. "E' un'iniziativa del
deputato Raffaele Bruno - spiega Venturini - Tre sono i punti
essenziali: la promozione e il sostegno delle attività teatrali
nelle carceri anche nella prospettiva del reinserimento
lavorativo, con valorizzazione delle conoscenze e competenze
acquisite dai detenuti; l'individuazione o la creazione, negli
istituti di pena che ne sono sprovvisti, di spazi dedicati al
teatro; l'istituzione di un "fondo per la promozione e il
sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari".
Secondo la professoressa sarebbe una conquista preziosa e
un riconoscimento per un lavoro che ormai viene fatto da molti
anni insieme ai detenuti. "Non a caso, - sottolinea - tra le
proposte degli Stati Generali sull'esecuzione penale (2015), vi
era quella di includere il teatro tra le attività
istituzionalizzate negli istituti di pena, sollecitandone
l'inserimento nella trama normativa dell'ordinamento
penitenziario, anche in considerazione dei dati diffusi dal Dap
che testimoniavano quanto positivamente le attività teatrali
incidessero sul clima degli istituti (con una percentuale del
96%)". " I laboratori teatrali - prosegue la docente - sono
presenti in tutto il territorio nazionale con una percentuale
che supera il 50% degli istituti (che, ad oggi, sono 190). Nel
33% dei casi sono laboratori che vivono da più di 10 anni. I
soggetti coinvolti sono nell'85% uomini e solo nel 7% donne, ma
questo è un dato che semplicemente riflette la composizione
della popolazione carceraria. Le esperienze teatrali riguardano
per lo più i normali detenuti, mentre molto più rare sono quelle
con reclusi nel circuito di alta sicurezza. Le attività teatrali
sono condotte da educatori, volontari, insegnanti, talvolta
dagli stessi detenuti riuniti in compagni".
Sullo stretto legame tra teatro e processo di
risocializzazione è intervenuto nei giorni scorsi anche Marco
Ruotolo, Professore ordinario di Diritto Costituzionale
all'Università Roma Tre Presidente della Commissione per
l'innovazione del sistema penitenziario per il Ministero della
Giustizia, partecipando alla tavola rotonda "Il teatro in
carcere: tra buone prassi e iniziative legislative", organizzata
nell'ambito del Festival Destini incrociati. Ruotolo ha invitato
a "non considerare il teatro in carcere nella dimensione del
mero intrattenimento, ma strumento che consente al detenuto di
riappropriarsi della vita" e ha ricordato i dati nazionali
dell'Istituto Superiore di Studi Penitenziari. "Sebbene non
siano aggiornati - ha detto - risalgono a circa sette anni fa, i
dati ci dicono che il tasso di recidiva, ossia la ricaduta nel
reato di una persona già destinataria di condanna penale, è
circa del 65% nella media italiana, ma scende al 6% per coloro
che in carcere svolgono attività artistiche e culturali, in
particolare teatrali".
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