I bambini nati nel 2020 saranno
esposti alle ondate di calore eccessivo in media sette volte di
più rispetto ai loro nonni nati nel 1960 (con punte di 18 volte
in più in Afghanistan). I neonati di oggi saranno anche colpiti
2,6 volte in più dalla siccità, 2,8 volte in più dalle
inondazioni dei fiumi, quasi 3 volte in più dalla perdita dei
raccolti agricoli (con punte di 10 volte in più come in Mali), e
dal doppio degli incendi devastanti. Questo l'allarme lanciato
dalla ong Save the Children con il rapporto "Nati in crisi
climatica", diffuso alla vigilia della Pre-Cop26, ospitata
dall'Italia a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre. Il rapporto
è stato realizzato da un team internazionale di ricercatori sul
clima guidati dalla Vrije Universiteit Brussel (VUB) e
pubblicato sulla rivista Science.
Anche se l'86% delle emissioni globali di CO2 è
responsabilità dei paesi più ricchi, i bambini che vivono in
quelli a basso e medio reddito e nelle comunità più svantaggiate
saranno colpiti prima e più pesantemente, perché sono già i più
esposti alle malattie trasmesse dall'acqua, alla fame e alla
malnutrizione, e vivono in alcuni casi in abitazioni precarie o
più fragili e vulnerabili in caso di inondazioni, cicloni e
altri eventi climatici estremi.
Per i bambini più vulnerabili gli impatti del cambiamento
climatico possono interrompere l'accesso all'assistenza
sanitaria e all'istruzione, come nel caso delle bambine
penalizzate dalle disuguaglianze di genere, delle popolazioni
sfollate o rifugiate, dei bambini disabili e delle popolazioni
indigene. In Pakistan, ad esempio, dopo le inondazioni del 2010
aggravate dal cambiamento climatico, il 24% delle bambine al
sesto anno di studi ha abbandonato la scuola rispetto al 6% dei
bambini. I bambini dell'Africa subsahariana dovranno affrontare
2,6 volte più perdite nei raccolti rispetto ai loro coetanei, e
i bambini del Medio Oriente e del Nord Africa fino a 4,4 volte
di più.
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