E' l'accesso nelle stanze dei
bottoni del business - dalla finanza all'industria che conta -
il vero soffitto di cristallo da infrangere per le donne del
Regno Unito (e non solo del Regno Unito). Lo conferma un
rapporto indipendente presentato oggi che denuncia la City come
una sorta di retroguardia sul fronte della parità di genere, in
un Paese che pure - regina a parte - in politica ha avuto negli
ultimi decenni tre donne a capo del governo; e rileva una
carenza di presenze femminili nelle posizioni da top manager
bollata in proporzione come tuttora "spaventosa".
L'incremento della cooptazione di donne nei consigli di
amministrazione della grandi aziende c'è stato, fino a quasi un
40% del totale di quelle quotate al vertice della borsa di
Londra dall'indice FTSE 100. Ma non si riflette neppure
lontanamente "nei ruoli esecutivi" più importanti, a iniziare da
quelli da amministratore delegato (in inglese ceo, chief
executive officer), si legge nel testo del rapporto realizzato
dalla società di consulenza EY in collaborazione con la
Cranfield University. In totale le donne ceo sono al momento
solo 8, sul ponte di comando delle major, e le presidenti non
più di 18. "La nostra ricerca mostra che un numero crescente
d'aziende si è posto l'obiettivo di dare maggiore rappresentanza
alle donne, ma che nel complesso il traguardo di una vera parità
di genere per riequilibrare il peso tra chi ha influenza e
gestisce il potere resta miseramente lontano", ha affermato
Alison Kay, managing partner del servizio clienti di EY UK.
Fra i segnali positivi, vengono evidenziate comunque le
nomine recenti di tre donne quali amministratrici delegate e
numeri uno di altrettanti colossi quotati a Londra: Alison Rose
alla testa di NatWest (settore bancario), Emma Walmsley di
GlaxoSmithKline (farmaceutico) e Alison Brittain di Whitbread
(alberghi).
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