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L'ira di The Donald contro i social

Redazione ANSA

Donald Trump, a poche ore dal duello tv a distanza con Joe Biden, è una furia. I suoi strali li scaglia contro Facebook e Twitter, accusati di censura per aver limitato la diffusione del presunto scoop del New York Post, quello sulle email di Hunter Biden, il figlio dell'ex vicepresidente. Per The Donald la 'smoking gun', la pistola fumante che a meno di tre settimane dal voto inchioderebbe alle sue responsabilità il candidato democratico alla Casa Bianca. L'ira del presidente americano sarebbe montata ancor di più alla notizia che tra gli account bloccati per aver rilanciato la storia del tabloid c'erano anche quelli della sua campagna (Team for Trump) e della sua portavoce Kayleigh McEnany. "Dobbiamo verificare la veridicità delle informazioni", la motivazione data dagli uomini di Mark Zuckerberg dopo la stretta. "Sono fuori controllo, sono un braccio del partito democratico e in mano alla sinistra radicale, terribile...", lo sfogo di Trump, che ha minacciato di cancellare l'immunità che copre i social media dai contenuti postati sulle proprie piattaforme da terzi: "Abolire la Section 230!!!", ha twittato, riferendosi alla norma che solleva Facebook, Twitter e gli altri da ogni responsabilità. I repubblicani della commissione Giustizia del Senato, intanto, hanno chiesto di convocare il ceo di Twitter Jack Dorsey per spiegare quanto accaduto. Dorsey ha definito un sbaglio fermare l'inchiesta "senza contestualizzare la decisione". Ma il blocco rimane - ha spiegato - anche perché i documenti pubblicati contengono informazioni e dati personali a partire da una serie indirizzi di posta elettronica, compreso quello di Hunter Biden. Così nella notte della sfida tv (Biden in onda sulla Abc, Trump sulla Nbc) il nuovo 'emailgate' diventa il tema centrale dello scontro. Nella prima puntata pubblicata dal New York Post, che appartiene al gruppo News Corp di proprietà di Rupert Murdoch, sono state svelate alcune missive che dimostrerebbero i legami (sempre negati) tra Joe Biden e i vertici di Burisma, la società energetica ucraina per la quale lavorava il figlio e che l'ex vicepresidente americano avrebbe voluto proteggere da un'indagine per corruzione da parte di Kiev. La seconda ondata di email, invece, proverebbe secondo il New York Post come Hunter Biden abbia cercato di spuntare accordi redditizi con l'allora maggiore società energetica cinese, la Cefc Chian Energy, inclusa un'intesa che in una missiva verrebbe definita da Hunter "interessante anche per la mia famiglia". "Se vince Biden la Cina si comprerà l'America", il commento di Trump. Il materiale pubblicato, racconta ancora il tabloid, proverrebbe da un personal computer lasciato nell'aprile 2019 in un negozio di riparazioni in Delaware (lo stato di residenza dei Biden) e mai recuperato. Laptop che sarebbe stato sequestrato dall'Fbi dopo che una copia dei suoi contenuti, realizzata dal gestore del negozio, sarebbe finita nelle mani di Rudolph Giuliani, l'avvocato personale del presidente. Insomma, una vicenda intricata e ancora nebulosa che serve però a un Trump molto indietro nei sondaggi per sferrare l'attacco decisivo all'avversario, nel tentativo di metterlo in difficoltà. "Biden è un politico bugiardo e corrotto, tutti a Washington lo sanno", l'affondo del presidente che riecheggia l'offensiva del 2016 contro 'Crooked Hillary', Hillary Clinton la corrotta, anche lei travolta dallo scandalo delle email, poi finito nel nulla.

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