Con almeno 300 casi registrati in 24 ore - il numero giornaliero più alto da due mesi - si rafforza la preoccupazione che Israele sia oramai entrato nella temuta seconda ondata dell'infezione. Il totale dei positivi è arrivato a 19.637 (303 le vittime in tutto), con una crescita di 299 infezioni da martedì mattina, il dato più alto dal 22 aprile scorso. Il numero dei casi attivi della malattia è balzato vicino ai 4.000 dopo che era sceso sotto i 2.000 consentendo così al Paese di riaprire gran parte della sua economia. E non è un caso che proprio la notte scorsa - di fronte all'impennata - la Knesset (il Parlamento) abbia ratificato l'estensione di altri 45 giorni per lo stato di emergenza che consente di assumere ogni decisione di restrizione a difesa della salute pubblica. Ora tocca al governo di Benyamin Netanyahu decidere in che direzione muoversi. Secondo i media, il neo ministro della sanità Yuli Edelstein ha chiesto di rinviare le aperture di quel poco che è ancora chiuso. Tra questi i teatri e il servizio ferroviario. A fronte della precedente caduta dei casi, erano state riaperte le scuole, i bar, i ristoranti e all'inizio di questa settimana era stato dato il via libera ai matrimoni e altre celebrazioni fino a 250 persone. Se Israele resta chiuso ai non israeliani, il governo sta pensando di riaprire, in parte, i cieli a partire dal 1 agosto, ma al momento tutto resta in ballo. Fatto sta che i casi galoppano: il primo focolaio importante è stato quello delle scuole, ora invece alcuni quartieri di Tel Aviv, specialmente quelli degli immigrati irregolari, e Giaffa sembrano i nuovi incubatori. Basti pensare che il 39% degli attuali positivi a Tel Aviv sono a Giaffa e il 35% riguardano richiedenti asilo e lavoratori stranieri. Infine, proprio oggi su 2.943 test effettuati su quest'ultima categoria il 9% è risultato positivo.
Ora il governo si appresta ad intervenire anche se, secondo i media, potrebbe essere difficile tornare ad un nuovo lockdown che stoppi l'economia.
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