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La parola della settimana è evasione

La parola della settimana è evasione

Da quelle ripetute del boss della Mala del Brenta Felice Maniero, all'evasione punita col carcere del decreto fiscale a quella "innocente" di Battisti-Mogol: i 360 gradi del concetto

27 ottobre 2019, 05:35

Redazione ANSA

ANSACheck

La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA
La parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

E-vadere, l’etimologia dice già molto se non tutto di una parola tornata a riecheggiare sui giornali, in tv, nelle chiacchiere da bar. E soprattutto ci suggerisce i diversi significati e colori che possiamo attribuirle.

Andare fuori, dove per fuori si intende l'esterno di uno spazio chiuso. E per quanto questo spazio non sia da intendersi in senso solo fisico, la parola evasione ha cominciato a girare impetuosa e indisturbata già dalla coda della scorsa settimana quando il protagonista delle cronache giudiziarie del week end è diventato il boss (o meglio ex boss della mala del Brenta novello imprenditore ecologista), Felice Maniero.

Faccia d’angelo, come veniva chiamato, negli anni Ottanta ha terrorizzato il Nordest con rapine, assalti a portavalori e colpi in banche e in uffici postali. E’ così che è diventato un profondo conoscitore dell'evasione, intesa come un andar fuori da uno spazio chiuso, nel suo caso, fuori dalla prigione in cui era stato rinchiuso.

Si può definire un professionista del genere: la sua prima evasione risale al 1987 quando fuggì dal carcere di Fossombrone. Catturato nuovamente nel 1988 riuscì a scappare l'anno successivo dal carcere di Portogruaro, per poi essere arrestato nuovamente a Capri nel 1993 e, dopo un'altra evasione, la terza nel 1994 a Padova, venne fermato a Torino nel novembre dello stesso anno. Venticinque anni dopo è stato arrestato con l'accusa di maltrattamenti sulla compagna.

L'alone romantico del criminale in fuga rocambolesca è stato presto oscurato perché la parola evasione ha fatto riecheggiare il tintinnio delle manette per altri motivi.
La scena stavolta è stata occupata dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Nel decreto fiscale viene innalzato il tetto minimo e massimo delle condanne, portando quest'ultimo a 8 anni di carcere, e amplia lo spettro dei comportamenti punibili penalmente, riducendo quindi l'area dei reati che finora erano 'semplicemente' tributari.

Sarà punita l'evasione derivante da false fatture, la dichiarazione fraudolenta e la confisca per sproporzione, già prevista per i mafiosi. Ancora poche certezze nei casi della cosiddetta evasione "di necessità", quella per cui nonostante una dichiarazione corretta la persona in questione non ha pagato le imposte dovute. Resta a carico del contribuente l'onere della prova per dimostrare che non l'ha fatto per motivi dovuti alla crisi economica o a un periodo di scarsa liquidità.

Insomma un tema davvero scivoloso, sul quale economisti e tecnici del ministero sono attualmente a lavoro per capire come e quando applicare la norma che è stato deciso non sarà attuata fino a quanto il decreto non sarà convertito in legge. E poi il testo deve ancora compiere un passaggio in Aula ma Bonafede si dice tranquillo. Fa sapere di averne già parlato con tutte le forze politiche, "anche con Italia Viva".

Insomma, fin qui l’evasione non sembra avere proprio nulla di ‘innocente’. Eppure… nel 1972 il duo Battisti-Mogol ne ribaltò coraggiosamente la connotazione con la canzone "Innocenti evasioni".

Sapete che c'è? L'evasione, se non include rapine o reati fiscali, può anche essere innocente. E da quel momento l'hanno cantato in moltissimi negli ultimi quarant'anni.

Quella "sensazione di leggera follia", vuole la leggenda, nasce dal racconto di una scappatella di Renzo Arbore fatto all'amico Giulio Rapetti che, da sempre appassionato di tradimenti, abbandoni, delusioni e rimpianti, ne fece subito una canzone. E il significato delle strofe introdotte dall'organo in un'atmosfera un po' soul e un po' disco è talmente anticonvenzionale da farci desiderare di essere tutti almeno una volta nella vita innocenti evasori.

Niente carcere, niente sanzioni amministrative, anzi tra uno "champagne ghiacciato", le "luci rosse", il "giradischi" e il "fuoco acceso" e tutta la scenografia allestita per l'altra/o quasi tifiamo per l'evasore quando alla porta suona, inaspettata, la sua metà ufficiale.
L'evasore di Battisti-Mogol è un recordman del genere: cavalca la situazione e con un triplo carpiato linguistico accomoda la scenografia per il nuovo assetto, fino a segnare il punto magistrale quando al suono del citofono della persona attesa rilancia con un inarrivabile "sarà uno scherzo, un amico e chi lo sa. No, non alzarti, chiunque sia si stancherà".

Game, set, match. 

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