(di Francesco Gallo)
Colori sgargianti, freddo, miseria e
una guerra appena alle spalle che ha lasciato su tutti le sue
ferite. All'interno di questi contrasti vive 'La ragazza
d'autunno', war drama diretto dal giovane Kantemir Balagov,
allievo di Sokurov, in corsa per la Russia agli Oscar per il
miglior film in lingua straniera.
In sala dal 9 gennaio con Movies Inspired, il film ha come
titolo originale 'Dylda', "spilungona", ovvero il soprannome
della protagonista, Iya (Viktoria Miroshnichenko), una giovane
goffa piena di impacci, capelli rossi e momenti di improvvisa
catatonia, ovvero black out mentali che la rendono assente con
gli occhi fissi nel vuoto.
Siamo a Leningrado, nel 1945, la guerra è appena finita, ma
il feroce assedio nazista vive ancora nelle menti e nei corpi
dei pochi sopravvissuti. È il caso appunto di Iya che presta
servizio come infermiera in un ospedale pieno di soldati di
guerra mutilati o gravemente feriti. Insieme a lei c'è la sua
amica del cuore, Masha (Vasilisa Perelygina), con la quale ha
condiviso il fronte in fanteria. Quest'ultima, di corporatura
minuta, ma anche troppo svelta e manipolatrice, ha affidato alla
'spilungona' il suo bambino, Pashka. Ma ora suo figlio è
scomparso e proprio su questo fatto ruota la storia morbosa tra
queste due donne. Masha desidera infatti a tutti i costi un
altro figlio ("voglio sentire la vita dentro di me" dice
all'amica), ma pretende che lo porti in grembo una reticente Iya
perché lei ha ormai perso la capacità di generare a causa di una
grave ferita al ventre.
Filologicamente perfetto, freddo quanto colorato, La ragazza
d'autunno, pieno di sbalzi emotivi, è insomma un piccolo
capolavoro a firma di un regista non ancora trentenne, già
autore di 'Tesnota'. Così, non a caso, a parte la candidatura
agli Oscar, dove è entrato nella shortlist. Il film è stato
premiato a Cannes per la regia a Un Certain Regard e ha poi
vinto, sempre sulla Croisette, il Premio Fipresci, mentre al
Torino Film Festival ha ottenuto il premio per l'interpretazione
femminile, andato alla protagonista, Viktoria Miroshnichenko.
"I miei personaggi - spiega il regista - sono straziati da
una guerra spaventosa, come la città in cui vivono, una città
che ha resistito sfidando il più grande assedio della storia
moderna. Menomati dalle ferite psicologiche inferte dalla
guerra, avranno bisogno di tempo per tornare alle consuetudini
di una vita normale". "La seconda guerra mondiale - continua
Balagov - è stata quella che ha visto la più massiccia
partecipazione delle donne. E così mi sono posto questa domanda:
cosa succede a una persona che la natura ha concepito per
procreare dopo essere sopravvissuta alle prove della guerra?".
Il film è ispirato a 'La guerra non ha un volto di donna' del
premio Nobel Svetlana Alexievich, ci tiene ancora a dire il
regista: "Devo ammettere che Alexievich mi ha spalancato un
mondo. Mi sono reso conto di sapere ben poco della guerra e del
ruolo delle donne, cosa che mi ha condotto poi a un altro
pensiero: che cosa potrebbe succedere a una donna dopo la fine
della guerra nel momento in cui la sua mente e la sua natura
hanno subito un cambiamento radicale? Particolare importanza per
me - conclude - ha avuto poi Leningrado dove volevo mostrare le
conseguenze della guerra attraverso i volti della gente, i loro
occhi, i loro corpi e non solo attraverso edifici abbandonati e
distrutti".
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