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Emma Dante per Prokofiev punta sul desiderio

Successo per 'Angelo di fuoco' con Perez e lettura al femminile

ROMA - Davvero una bella esecuzione, con buoni interpreti e un'allestimento di gran forza espressiva questa, applauditissima, de ''L'angelo di fuoco'' di Prokofiev proposta dall'Opera di Roma (4 repliche sino al 1 giugno). Opera molto rara da vedere (si ricorda un'edizione alla Fenice del 1955 con regia di Strehler, una al Festival di Spoleto del 1959, poi quella con regia di Puecher del 1966 proprio a Roma) eppure con una sua forza e qualità, oltre a una vicenda da potersi leggere tutta al femminile come ha naturalmente sottolineato la regia di Emma Dante, che ha puntato come Prokofiev sulla forza devastante, eversiva e repressa del desiderio della protagonista, Renata, che per questo viene presentata come la madonna addolorata trafitta da spade quando alla fine viene condannata al rogo.

Prokofiev qui porta avanti il discorso musicale iniziato con 'Il giocatore' riempiendo di musica gli spazi del recitativo, puntando sin dall'inizio, con l'apparizione dell'angelo, sui motivi sintetici che si legano agli avvenimenti salienti del dramma (dalla determinazione di Ruprecht all'ossessione di Renata, dalla stregoneria alle estasi) non quali semi di uno sviluppo, ma quasi sigle che tornano nello scorrere della vicenda verso il finale sabba delle monache, divise tra quelle che vogliono salvare Renata e quelle che l'accusano di rapporti carnali col diavolo. Un lavoro di pochissimi personaggi, incentrato sulla coppia dei protagonisti, praticamente sempre in scena, cui la Dante costruisce attorno senza sosta una danza di movimenti, di controscene, di presenze mute per dare maggiore teatralità al tutto, cui si aggiungono anche gustosi siparietti in proscenio tra un cambio di scena e l'altro.

Sul podio Alejo Pérez che della musica sfrutta con sapienza tutta la forza vitale, tra passione e colore, con quella preponderanza che le dà Prokofiev, in taluni momenti quasi sommergendo le voci dei cantanti, e che, pur connotandosi per certi versi come sperimentale, con momenti dolcemente lirici e spettacolari, trascinanti grandiosità, alla fine nel complesso costruisce un'opera più realistica che visionaria, il che appunto permette una lettura diciamo psicanalitica basata sul desiderio della donna impersonato dalle sue visioni dell'angelo, dal suo bisogno di congiungersi a lui carnalmente, ma anche quello insopprimibile di Ruprecht per lei. Ecco allora che l'angelo, presenza muta, una delle più felici invenzioni della Dante, è una sorta di folletto, di volante fantasia fascinosa impersonata da un ottimo danzatore di breakdance, Alis Bianca, mentre la vicenda nasce in una sorta di catacomba, i cui loculi sono abitati da anime irrequiete, a cominciare da quella di Renata, che soffre e urla davanti all'apparizione dell'angelo, visibile solo a lei, così che il cavaliere Ruprecht si precipita nella sua stanza per soccorrerla, restandone poi perplesso e ammaliato perdutamente, nonostante lei si dica innamorata dell'ex marito Heinrich, che però la respinge esasperato dalla sua follia. Nella parte centrale il cavaliere e la donna si affidano alla magia per cercare di uscire dalle proprie ossessioni, ma ogni tentativo e sacrificio fallisce con la Renata che si chiude in convento e questa parte finale acquista anche qualcosa di cupamente metafisico e opprimente con una scena (di Carmine Maringola) che richiama il 'colosseo quadrato' dell'Eur.

Alla fine, molti applausi all'apparire in palcoscenico di Ewa Vesin (Renata) e Leight Melrose (Ruprecht) per i ringraziamenti al termine della loro prova estenuate di recita e canto, eppure di una qualità mai in cedimento. Acclamati particolarmente anche Perez e la Dante, con, tra gli altri, Sergey Radchenko (Agrippa), Andrii Ganchuk (Faust), Maxim Paster (Mefistofele) e Goran Juric. (l'inquisitore).

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