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Flavio Bucci, la mia vita sul palco

Maestri, donne ed eccessi in E pensare che ero partito così bene

"Glielo posso dire? Io rifarei tutto. Potessi, ricomincerei subito da capo". A 71 primavere, Flavio Bucci non si nasconde. E se qualcuno, scorrendo la sua vita "fantastica", come dice lui, fatta di grandi successi, incontri straordinari, infiniti eccessi tra donne e droga, ma anche molte ombre, pensasse a un passo indietro, si sbaglia di grosso. "E perché dovrei?", chiede, con la sua fragorosa risata. Anzi, ora tutta quella vita ha deciso di raccontarla a teatro con 'E pensare che ero partito così bene...', testo scritto con Marco Mattolini, che firma anche la regia, al debutto il 16 gennaio al Belli di Roma (fino al 20 gennaio), pronto a una tournée di oltre 30 date in tutta Italia. Con lui in scena, Almerica Schivo e la ballerina Alessandra Puglielli. Più una galleria di incontri, addii, pensieri, successi e défaillance.

Senza trionfalismi né vergogna, ma con tutta la sua la proverbiale spregiudicatezza. "Mi auguro di dire tutta la verità. E anche tutte le bugie", racconta all'ANSA l'attore, divenuto celebre grazie al Ligabue dello sceneggiato Rai del '77, diretto da tanti, come Monicelli, Luigi Magni, Giuliano Montaldo, Nanny Loy, Paolo Virzì e Paolo Sorrentino, e anche voce di John Travolta ne 'La Febbre del Sabato Sera'. Accumulando grandi ricchezze, ma anche perdendo fino all'ultimo soldo. "Rifarei ogni cosa, il bene e il male - ammette lui - Il lavoro mi ha permesso una vita meravigliosa, pagato anche per viaggiare. A Ligabue sono molto legato. E' stupido, come fanno alcuni, rinnegare un film che ti ha dato popolarità e consentito di fare tanto altro. Il ruolo del cuore, però, resta Total de La proprietà non è più un furto, perché fu la mia prima volta da protagonista e perché era diretto da Elio Petri, il mio maestro (che lo aveva già fatto esordire ne La classe operaia ndr). Sul set menava come un pazzo, pure Gian Maria Volonté che fisicamente era una bestia. Ma era un momento in cui i registi si comportavano così e anche Petri, prima ti spiegava la scena, poi se non ti veniva bene, ti menava".

A sorpresa invece Diario di un pazzo di Gogol, il testo che per più di 30 anni Bucci ha portato a teatro, era il suo tormento. "Andavo in camerino 3-4 ore prima - racconta - Molti pensavano a concentrarmi, invece cercavo una scusa per non andare in scena, perché era faticosissimo. In tanti anni, però, non mi sono mai dato malato. Per fortuna, perché come mi disse una volta Eduardo De Filippo a Positano, 'la cosa più importante per un attore è 'a salute'". Poi c'è il capitolo, croce e delizia, delle sue donne, amate, lasciate o anche solo sognate. "Sono stato un uomo vizioso e me ne vanto - dice - Ho usato droga, ma non avevo la responsabilità di costruire ponti che dovessero restare in piedi. La droga maggiore per me, però, resta la donna. La più sublime, Stefania Sandrelli, incarnazione dell'eterno femminile. Abitavamo sulla stessa strada, uno di fronte all'altro e ci incontravamo così... - sospira - Come padre invece sono stato un disastro: tre figli, ma mi sono comportato malissimo". Poi si torna ai compagni di set, come Alberto Sordi, incontrato per il Marchese del Grillo, "un gentiluomo, ma un pianeta a sé"; Ugo Tognazzi "amico per 40 anni"; e Morricone che "chiamava alle due di notte per dirmi che pensava di cambiare due note di una musica".

Figlio della Torino del 1947, Bucci è stato ragazzo nel boom dell'Italia della ricostruzione e con lo stesso slancio ha percorso tutta la sua vita. "Oggi invece - dice - più che in una democrazia, a me sembra di vivere in una partitocrazia. Cosa vorrei per il futuro? - sorride - Continuare infinitamente a cazzeggiare. L'ho fatto per tutta la vita, perché fermarmi proprio adesso?".

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