Paolo Petroni
Beniamino Placido su Repubblica del
18 maggio 1978 firmava l'articolo che, per tutti, è quello che
decretò il successo e attirò l'attenzione su Charles Bukowski,
il poeta e narratore americano scomparso nel 1994 e di cui il 16
agosto si celebrano i cento anni dalla nascita, avvenuta nel
1920 a Andernach, in Germania, dove suo padre era militare
nell'esercito Usa e lo portò a vivere a Los Angeles quando aveva
tre anni. E lo stesso Placido, un anno dopo scriveva
lamentandosi che i giovani lo leggessero avidamente ma
superficialmente, facendone un maestro dell'asocialità e del
seguire solo i propri bisogni individuali. In quest'ottica poi,
è stato per molti versi consumato, riportando la sua alterità a
una quotidianità scontata e ribelle.
Passati oltre quaranta anni da allora, che senso ha quindi
leggere oggi Bukowski? Visto che si continua a leggere e
pubblicare: ultimo il suo volume epistolare a amici e altri
autori ''Sulla scrittura'' (Guanda, pp. 300 - euro 18,00)
preceduto tempo fa da ''Il meglio'' dello scrittore (Guanda,
pp.316 - 18,00 euro). I suoi libri, di narrativa e di poesia,
conservano e mostrano una potenza che ne fanno di sicuro uno
scrittore non effimero, mentre quel che bisogna riscoprire è
proprio il suo esser visto come incarnazione della contestazione
totale, dell'essere contro tutto e tutti, cantore dell'eccesso e
del mettersi fuori di quell'insieme di riferimenti che sono più
o meno quello che chiamiamo normalità. E proprio in questa sua
critica e distruzione di ogni ''normalità'' ancora ci piace e ci
suggerisce approcci diversi, anche sorprendenti, alle cose, al
mondo, alla vita.
Bukowski, più di altri autori analitici o saggisti rispetto
ai quali compie uno scarto netto, una decisa mossa del cavallo,
è davvero l'incarnazione del fallimento e tradimento del sogno
americano, col suo non credere più a nulla, non importargli più
di nulla, nella sua apatia dal prendere qualsivoglia iniziativa,
facendosi bastare una serie immancabile di birre, cercando di
vincere qualcosa alle corse di cavalli, e trovando un letto per
dormire, naturalmente non da solo, visto il suo amore per le
donne e il sesso, riversando e placando evidentemente poi ogni
possibile furia nella scrittura (ha lasciato sei romanzi,
centinaia di racconti e migliaia di poesie) e facendo
personaggio se stesso, in una sorta di sfrenato autobiografismo.
E' l'uomo dai mille mestieri per sopravvivere, che si mette
contro, che beve troppo sin da quando è ragazzo (nel 1969 perde
il suo grande amore Jane Baker, morta alcolizzata), che appare
vitalissimo nella sua furia sessuale, nei suoi eccessi, nel suo
mal sopportare il posto da impiegato alle poste, che lascia a 50
anni quando l'Edizioni Black Sparrow gi offrono per la sua
produzione 100 dollari al mese per tutta la vita: scrive che o
restava alle poste impazzendo, o giocava a fare lo scrittore
morendo di fame, e preferiva morire di fame. Un mese dopo la
firma del contratto aveva finito il romanzo ''Post office'' con
cui divenne celebre. Da noi, con questo, i titoli che lo hanno
portato al successo sono i racconti di ''Taccuinio di un vecchio
sporcaccione'' e le ''Storie di ordinaria follia - Erezioni,
eiaculazioni, esibizioni'', il romanzo ''Factotum'' e le poesie
di ''L'amore è un cane che viene dall'inferno''. La sua è una
scrittura estremamente realistica e assieme visionaria, con
immagini che stupiscono e sorprendono, sintesi illuminanti e
elenchi coinvolgenti, tutto con una lingua più letteraria di
quello che potrebbe sembrare e lui (ammiratore di Hemingway e
lettore di Shakespeare) pretende. Parrebbe che ogni cosa,
sentimento, azione sia scontata e invece vive proprio del non
esserlo mai, nemmeno nella ripetitività di chi è spinto
dall'urgenza di dover calmare, colmare un'ansia, un vuoto
esistenziale, mettendo a nudo il proprio animo, la propria
anima. Ed è così che è diventato comunque un punto di
riferimento nella cultura americana, e non solo.
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