(di Paolo Petroni)
(ANSA) - ROMA, 27 MAG - Se una cosa ci ricorda questa
pandemia è che la natura è sempre più forte, più resistente
dell'uomo. Non per nulla molti scrittori (e poi drammaturghi,
registi di film e artisti diversi) da sempre hanno raccontato e
creato storie esemplari, tra cronaca e metafora, su pestilenze,
epidemie e altri cataclismi che cancellano o quasi il genere
umano dalla terra e ne mettono a nudo la sua vera natura. Allora
questi romanzi, queste cronache di day after, queste
supposizioni di arrivo al limite e di salvezza in extremis, con
cui viviamo una qualche consonanza, possono essere qualcosa che
ci aiuta a capire e riflettere su quel che ci sta accadendo in
questo inizio 2020, magari a metabolizzarlo in qualche modo,
così da ripartire, come si dice ora, sapendo almeno un poco di
più chi siamo.
E' di nove anni fa un romanzo horror metaforico di Colson
Whitehead, ''Zona Uno'' (Einaudi, pp. 312 - 18,00 euro -
traduzione di Paola Brusasco) che, ispirandosi ai mitici film di
Romero, ci racconta l'America dopo una devastante pandemia che
lasciato gli esseri umani in tutta la Terra divisi in due
categorie, i vivi e i morti viventi. Qui siamo a Manhattan,
l'isola simbolo di New York e degli Usa, che è in mano ai morti
viventi i quali, praticamente senza vita propria, perduta ogni
umanità, si nutrono di altri uomini infettandoli
inesorabilmente, e, all'interno di questa degradata situazione
generale, mille altri avvenimenti simbolici prendono vita,
grazie alla ricchezza d'invenzioni dell'autore di narrazioni
nuove e avvincenti come ''L'intuizionista'' o ''Ferrovia
sotterranea''.
La paura si impossessa di tutti davanti al morbo sconosciuto
e aggressivo, ''all'inizio i sogni, notti al sicuro permettendo,
privilegiano i paradigmi d'ansia più comuni''. Le persone
sembrano preda di un'assurda follia che per certi versi si lega
alle distorsioni e ai danni di un capitalismo americano estremo,
ma il romanzo innesta su questa realtà il disperato desiderio di
una minoranza che riesce a salvarsi e a far prevalere la propria
umanità perduta. In una situazione molto diversa è comunque un
po' come oggi da noi si discute di come cogliere l'occasione
della malattia per cambiare e raddrizzare una società piena di
incongruenze e ingiustizie.
Manhattan è in mano ai mostri infetti e un gruppo di
disinfestazione si è attestato nella punta meridionale, da cui
avanza palazzo per palazzo, seguendo gli ordini che arrivano da
Buffalo, dove si è insediato un governo provvisorio che tenta di
riconquistare il Paese e rendergli normalità. Con loro c'è una
persona chiamata ironicamente da tutti Mark Spitz, perché non sa
nuotare come non riesce a fare mille altre cose e non eccelle in
nulla, sempre in bilico tra il riuscire e il fallimento, come
invischiato in una vita piatta, che lo rende quasi invisibile,
qualunque. Gli inetti e coloro che sanno mettersi in vista,
infatti, finiscono per non far attenzione e star concentrati su
se stessi e quel che stanno vivendo, facendosi così facilmente
notare, diventando subito vittime di chi non aspetta altro per
farne un buon boccone.
Dopo essersi dispersi in molti in fughe individuali
disperate, mentre il contagio avanzava inarrestabile, i
pochissimi sopravvissuti provano a riunirsi e pian piano a
organizzarsi per reagire a tanto delirio di ludica violenza.
Sono persone comunque provate: ''Tutti quelli che si vedevano se
ne andavano in giro con una zoppia psicologica, una spalla più
bassa qui, una palpebra disobbediente e mezzo chiusa là, e
l'attuale pezzo forte, un accartocciamento generale, come se
l'anima stesse implodendo o la mente risucchiasse le estremità
dentro di sé''. Così a chi si unisce viene fatto il terzo grado:
''A volte ci arrivano certi infelici, gente cui è stata rubata
l'anima e vedo che genere di roba hanno dietro gli occhi''. A
Manhattan sono le ultime sacche di resistenza, composte da
soggetti infetti che non si sono trasformati completamente in
zombie e vivono in uno stato mediano semicatatonico, ma pronti a
reagire con violenza. E' lì che opera appunto il gruppo di Spitz
che tenta di chiudere ermeticamente metropolitane, tunnel, ponti
e altre vie di fuga poco conosciute o segrete per avere in mano
tutta l'isola e ripulirla a fondo.
Per godere questo romanzo, e esserne alla fine presi,
bisogna accettare questo gioco esemplare, quello dello Skel, lo
scheletro che mangia i vivi, per trasformarli a loro volta in
zombie, che è anche tema di una vicenda centrale nella esistenza
del nostro Mark Spitz, come sapremo quando la racconterà, come
estrema confidenza, a una donna che incontra per caso e con cui
vive momenti d'amore intensi e nostalgici, barricati dentro un
negozio di giocattoli. Del resto i pensieri di Mark, il suo
riflettere, ricordare, alternare il passato al presente, sono la
parte migliore e più intensa del libro, che ha pagine macabre
certo (come quella in cui la madre divora il padre raccontata da
Spitz), ma anche momenti quasi lirici, che sono poi il segno del
sopravvivere di certi sentimenti e di un'umanità che può avere
un futuro. Una lettura interessante, visto quel che sta
accadendo oggi negli Stati Uniti col coronavirus. (ANSA).