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Marietti 1820, Berardino Palumbo e il Rito nella modernità

Marietti 1820, Berardino Palumbo e il Rito nella modernità

In anteprima ANSA testo autore Piegare i santi, in libreria 21/5

ROMA, 04 maggio 2020, 11:10

Redazione ANSA

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Che cos'è un rito? Cosa intendiamo per religione? E come si concilia con la modernità? Proprio alla parola "Rito" era dedicata la tappa di Messina di Parole in viaggio, iniziativa organizzata da Marietti 1820 per celebrare i 200 anni della casa editrice, prevista per il 6/5 alla Libreria Feltrinelli con l'antropologo Berardino Palumbo e annullata per l'emergenza Coronavirus. Il viaggio in Italia di Marietti 1820 si articola in lezioni e spettacoli in 9 città italiane (a ognuna è associata una parola) e propone 11 lezioni, uno spettacolo e una mostra di libri e documenti (programma dettagliato, con la collaborazione di Bper banca, Emme promozione, Edimill e Tuna bites, è su www.mariettieditore.it/bicentenario). Berardino Palumbo, professore ordinario di Antropologia sociale all'Università di Messina, ha condotto ricerche etnografiche in Ghana e Italia.
    Autore di saggi su Comparative Studies in Society and History, Anthropogical Quarterly, Ethnology e Terrain, per Marietti 1820 firma Piegare i santi. Inchini rituali e pratiche mafiose, in libreria dal 21/5 (176 pp - 13 euro). In anteprima per l'ANSA, ecco il suo testo sul tema del Rito.
    RITO di Berardino Palumbo - In più parti del Sud del nostro paese nel corso degli ultimi anni si sono verificati casi di commistione tra momenti rituali pubblici interni alla tradizione devozionale cattolica e presenza della criminalità organizzata.
    I commenti degli opinionisti e le reazioni dei protagonisti degli episodi, tendono a polarizzarsi intorno ad alcuni luoghi retorici. Simili episodi metterebbero in luce una religiosità non corretta, distante da una sensibilità e da una pastorale cattoliche correnti, rispetto alla quale la Chiesa dovrebbe prendere energicamente le distanze (è questa la posizione delle parti più progressive del clero e, da qualche tempo, anche quella ufficiale della gerarchia cattolica). Un corollario, spesso sottolineato nella stampa e diffuso ben al di là della sfera ecclesiale, è che simili forme di devozione siano, in realtà, residui di paganesimo rimasti impigliati tra le maglie della religiosità popolare. Dal canto loro, gli attori delle scene sociali interessate da simili fenomeni tendono ad assumere rispetto alla questione un'attitudine che, con Gramsci, si potrebbe definire "a due facce". Adottando una faccia rivolta allo spazio pubblico nazionale, da un lato ribadiscono il proprio attaccamento a "tradizioni" e devozioni immaginate legittime e non dissimili da quelle presenti in altri contesti.
    Dall'altro negano, sia pur con un imbarazzo la cui intensità è proporzionale al proprio coinvolgimento nella sfera pubblica, qualsiasi connessione organica tra lo scenario devozionale locale e le presenze di gruppi criminali, o comunque le minimizzano, queste presenze, riconducendole a momenti occasionali cui solo l'attenzione politicamente e culturalmente malevola di osservatori esterni può attribuire valore generale.
    Quando adottano la faccia rivolta all'interno, in maniera tanto più franca, quanto più si collocano in posizioni sociali vicine al margine tra legittimità e illegittimità, gli attori sociali delle scene "locali" ribadiscono comunque il senso devozionale delle proprie pratiche, oppure, più frequentemente, rifiutano qualsiasi dialogo con uno sguardo esterno, ritenuto intrusivo, carico di pregiudizi e incapace di comprensione, lasciandosi così ampi margini di ambiguità all'interno dei quali continuare a giocare i propri giochi. A me pare che simili vicende e le polemiche che intorno ad esse si producono meritino una maggiore attenzione. Per cominciare, cosa intendiamo per "religione"? Pratiche devozionali come l'auto flagellazione, la spogliata di neonati sotto le statue di santi patroni e Madonne, lo stesso posizionarsi sotto le statue durante i riti processionali, le gare di vario tipo messe in atto per giocare questo ruolo o l'annacata (ossia l'andatura oscillante che i portatori delle vare processionali imprimono alle statue durante le processioni e che, spesso, gli attori sociali leggono come un'affermazione di forza personale, sociale e "politica" da parte dei portatori) sono atti religiosi - come rivendicano con decisione coloro che li compiono - o semplici manifestazioni esteriori di una distorta concezione della fede cattolica, facilmente manipolabile dalla criminalità organizzata, se non addirittura esempi di superstizione - come una parte sempre più significativa della Chiesa e dei commentatori sembra supporre? Simili pratiche e le disposizioni emotive, le passioni incorporate che le rendono possibili e visibili sono indici di una società e di soggettività non pienamente moderne? Cosa succede, però, se un capovara (colui, sempre maschio, che guida una macchina processionale e ne determina l'andatura) o la persona addetta a spogliare i bambini e sollevarli verso il Santo è un personaggio legato alla criminalità organizzata, cioè qualcuno che probabilmente spaccia e usa cocaina, maneggia armi sofisticate, si muove tra la Campania e l'Irlanda, ha le mani in pasta in complicate operazioni finanziarie e si sposta in Suv di ultima generazione? Difficile non vedere in lui una delle figure in qualche modo emblematiche di una parte non irrilevante del nostro più che contemporaneo tardo capitalismo. Come la mettiamo, allora, con l'arretratezza, la modernità e la "religione"? Inoltre, nello scenario rituale, quel "mafioso" non solo compie quei gesti, ma li reputa e - se interrogato li dichiara - atti devozionali, espressione di una religiosità che le persone che con lui danno vita a quelle scene sociali mostrano di condividere e comprendere. La risposta più comune è: quel "mafioso" (e con lui gli altri attori sociali) mentono e usano strumentalmente, a propri fini, simboli, pratiche, credenze che in realtà non gli appartengono; o comunque quei simboli e quelle pratiche sono indici di una religiosità arcaica e formalistica. Trovo questa risposta troppo semplice e, soprattutto, viziata da quel formalismo normativo che è tratto di lunga durata di molte letture colte delle vicende del nostro paese. Il libro "Piegare i Santi" prova a rispondere a simili questioni, attraverso una prospettiva di analisi di taglio antropologico sociale fondata su una lunga ricerca etnografica da me svolta in Sicilia.
   

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