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Oscar Murillo e la sfida al capitalismo

Oscar Murillo e la sfida al capitalismo

Pupazzi proletari, "Hudson Yard è il nuovo Rockefeller Center"

NEW YORK, 19 giugno 2019, 17:46

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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In sedia a rotelle una processione di pupazzi di cartapesta a misura d'uomo si è recata la scorsa settimana in pellegrinaggio a Rockefeller Center.
    Contadini, operaie, lo sguardo rivolto verso l'alto, hanno sfidato il complesso costruito sulla fortuna di Standard Oil dove i murali di Diego Rivera sul socialismo che confronta il capitalismo furono distrutti nel 1934 per volere dei petrolieri dopo che l'opera era stata etichettata "propaganda anticapitalista" sui media. "Sono proletari", ha detto all'ANSA Oscar Murillo, l'artista candidato al Turner Prize la cui performance nel cuore di Manhattan è stato il primo atto della installazione Collision/Collusion inaugurata il 19 giugno allo Shed. Lì, nel nuovo centro per le arti costruito su terreno municipale all'estremità nord della High Line, i manichini di Murillo guardano i grattacieli di Hudson Yard, il complesso immobiliare inaugurato in gennaio che, secondo Murillo, è il nuovo simbolo del capitalismo: "Il nuovo Rockefeller Center". Collision/Coalition abbina fino al 25 agosto il lavoro del colombiano, trasferito da bambino a Londra e che nel 2015 ha esposto alla Biennale, a quello dell'americano Tony Cokes, complice la curatrice Emma Enderby, arrivata allo Shed dal New York Public Art Fund e prima dalla Serpentine Gallery dove ha lavorato alla prima edizione di Hilma af Klimt prima del Guggenheim. Il senso, spiega la Enderby nella presentazione alla stampa, è interrogarsi sul ruolo dell'arte a fronte del potere politico, sociale e economico: "La relazione col capitale e il suo potere di soccombere o sovvertire". Sono le domande che si pone Cokes appropriandosi di musica pop e testi di giornali in un collage multimediale che esplora la relazione tra artista, il suo studio e la gentrificazione, il ruolo degli studi di artista nel trasformare le comunita', delle gallerie, della critica che non e' piu' critica perché l'arte e' ormai soprattutto business. Tutto illustrato su maxi schermi su cui scorrono testi con la colonna sonora hip hop di Drake e del dubstep britannico.
   

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