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Cosa dice la Convenzione dell'Aja sui minori sottratti

Cosa dice la Convenzione dell'Aja sui minori sottratti

In Italia è stata ratificata e resa esecutiva con la legge 15 gennaio 1994 n. 64

ROMA, 13 settembre 2021, 14:27

Redazione ANSA

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Una famiglia a passeggio in una foto di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una famiglia a passeggio in una foto di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una famiglia a passeggio in una foto di archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

La Convenzione dell'Aja del 1980 è il documento che si occupa delle procedure relative agli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. In Italia è stata ratificata e resa esecutiva con la legge 15 gennaio 1994 n. 64 ed è attualmente applicata nelle relazioni tra l'Italia ed una serie di stati tra cui lo stesso Israele. Ha come fine "assicurare l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente" e "assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti". In tema di applicazione delle procedure previste dall'atto, composto da 45 articoli, esistono alcune regole.

In primo luogo "lo Stato di residenza abituale prima della sottrazione e lo Stato in cui il minore è stato portato (Stato di rifugio)" devono avere "entrambi ratificato o aderito alla Convenzione e hanno reciprocamente accettato l'adesione dell'altro Stato".

Per la Convenzione, il trasferimento o il mancato rientro di un minore é ritenuto illecito "quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro". Il minore sottratto deve avere meno di sedici anni e al compimento del sedicesimo anno la procedura si interrompe, anche se è già in fase giudiziaria.

    In tema di "ritorno del minore" l'articolo 8 stabilisce che "ogni persona, istituzione od ente, che adduca che un minore é stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento, può rivolgersi sia all'autorità centrale della residenza abituale del minore, sia a quella di ogni altro Stato Contraente, al fine di ottenere assistenza per assicurare il ritorno del minore".

    Le autorità centrali svolgono sostanzialmente una funzione di "raccordo" tra il soggetto che chiede il rientro del minore e le autorità dello Stato dove è stato trasferito. Le autorità giudiziarie o amministrative di ogni Stato Contraente devono procedere d'urgenza per quanto riguarda il ritorno del minore" e "qualora l'autorità giudiziaria o amministrativa richiesta non abbia deliberato entro un termine di sei settimane dalla data d'inizio del procedimento, il richiedente (o l'autorità centrale dello Stato richiesto), di sua iniziativa, o su richiesta dell'autorità centrale dello Stato richiedente, può domandare una dichiarazione in cui siano esposti i motivi del ritardo".

La durata di sei settimane si riferisce al primo grado di giudizio. Anche se l'ordine di ritorno è stato emesso tempestivamente in primo grado, l'eventuale fase di appello può far durare di più l'intera procedura. Per emettere l'ordine di ritorno il giudice dello Stato rifugio deve verificare una serie di elementi tra cui se prima della sottrazione il minore aveva effettivamente la residenza abituale nello Stato in cui si chiede il ritorno, se il soggetto che presenta la domanda di ritorno è titolare della responsabilità genitoriale e se la sottrazione è stata fatta senza il consenso del soggetto titolare della responsabilità genitoriale.  

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