"Lo regno della morta gente" è il
tema su cui si articola una mostra allestita al museo "Paolo
Orsi" di Siracusa che si inaugurerà sabato 8 ottobre alle 17.30,
curata dall'archeologa Anita Crispino, del Parco archeologico di
Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai e da Reine Marie
Bérard, ricercatrice Cnrs Centre Camille Jullian di
Aix-en-Provence. L'esposizione, che resterà aperta fino all'8
gennaio 2023, interessa la necropoli meridionale di Megara
Hyblaea e si propone come una nuova occasione per illustrare la
lunga collaborazione tra la missione archeologica francese a
Megara Hyblaea e il Paolo Orsi.
I reperti provengono dagli scavi della necropoli, custoditi
presso il museo e di cui solo una piccola parte era stata fino
ad oggi proposta al pubblico. La mostra, divisa in sette
sezioni, illustra i risultati di indagini attente a tutti gli
aspetti connessi al seppellimento in età greco arcaica: oggetti
personali, vasellame, monili, esposti per la prima volta,
raccontano ai visitatori un segmento della vita degli abitanti
della polis greca di Megara Hyblaea.
"La mostra esprime il valore del potenziamento della ricerca
archeologica che abbiamo portato avanti in questi anni -
sottolinea l'assessore dei Beni culturali, Alberto Samonà - e
della collaborazione con Università e istituti di tutto il
mondo".
Il sito di Megara Hyblaea, 20 chilometri a Nord di Siracusa,
fu occupato dai greci dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C.
Meno di tre secoli dopo, all'inizio del V secolo a.C., la città
fu presa da Gelone, tiranno di Siracusa, che vi trasferì i suoi
abitanti. Gli sfollati tornarono successivamente occupando
l'area della vecchia agorà ma si trattò della fine politica di
una città greca cresciuta in parallelo a Siracusa, fino a
contrastarla, e destinata ad essere abbandonata. Nel 1949, Luigi
Bernabò Brea, Soprintendente alle antichità per la Sicilia
orientale, affidò la ricerca all'École française de Rome.
Georges Vallet e François Villard, e in seguito i loro
collaboratori e successori hanno portato avanti le indagini fino
ai nostri giorni.
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