(ANSA) - CAGLIARI, 21 NOV - "Sardinian sounding, sembra sardo
ma non è". Olio d'oliva dell'isola, tutelato da marchi di
qualità e certificazioni, ma insidiato da produzioni che
utilizzano materie prime di provenienza extra regionale. Se ne è
parlato nel corso della tavola rotonda, organizzata dalle
associazioni dei consumatori aderenti al progetto "Io
Consumatore Sardegna". I numeri: 40.000 ettari di territorio dal
quale derivano circa 500.000 quintali di olive, trasformate in
90mila quintali dii olio ogni anno (1,5% della produzione
nazionale) e coinvolge circa 160 frantoi. Per un fatturato annuo
di circa 250 milioni annui.
Obiettivo dell'incontro è stato quello di tenere alta
l'attenzione su un fenomeno che dagli addetti ai lavori è
considerato anche forse più insidioso della contraffazione: con
il Sardinian sounding - spiegano le associazioni - si richiama
l'isola. Ma si convince il consumatore di avere a che fare con
un prodotto genuinamente sardo che in realtà di isolano ha poco
e niente. Le materie prime - continuano le associazioni - non
sono sarde, il prezzo cala, come la qualità. E il danno si
riverbera sui produttori locali.
I vari profili del fenomeno sono stati introdotti dal
vicepresidente di Adoc Cagliari Andrea Falchi e affrontati dai
rappresentanti delle principali associazioni del consumatori
della Sardegna. Monica Satolli, presidente dell'Unione dei
Consumatori Sardegna ha illustrato il vademecum utile agli
acquirenti per potersi districare nella jungla delle etichette e
dei rivenditori. "Chi acquista - avverte Michele Milizia di Casa
del Consumatore - è chiaramente attratto in prima battuta dal
prezzo. E si trova davanti bottiglie che vengono proposte a
pochi euro al litro, a fronte di olio Dop, extravergine, che va
per i 10. Di fronte a questo squilibrio i produttori e i
distributori, se vogliono sconfiggere la concorrenza sleale,
devono puntare molto sulla trasparenza, per far emergere le
caratteristiche superiori dei prodotti della nostra isola".
(ANSA).