Non ci saranno solo un ottantina di
opere legate a Raffaello, di cui dieci di sua mano, al Palazzo
Ducale di Urbino a partire da ottobre per celebrare nelle Marche
i 500 anni della morte dell'artista, ma anche 147 maioliche
provenienti dalla più grande collezione privata del mondo in
questo settore. Alla mostra "Raffaello e gli amici di Urbino"
che si aprirà alla Galleria Nazionale delle Marche il 3 ottobre
prossimo, seguirà il 31 dello stesso mese l'inaugurazione
dell'esposizione "Raphael Ware (le ceramiche di Raffaello). I
colori del Rinascimento a Urbino", con un nucleo di maioliche
realizzate sulle incisioni dei suoi allievi.
"Veri capolavori - spiega Peter Aufreiter, direttore della
Galleria Nazionale e delle due iniziative - nati quando alcuni
degli aiutanti di bottega di Raffaello sono tornati a Urbino
dopo la morte del maestro intorno al 1520 diffondendone i
lavori". La mostra è curata da Timothy Wilson, considerato il
più grande ceramologo del mondo, cui si deve l'arrivo ad Urbino
della preziosa collezione, di proprietà di un uomo d'affari
d'origine italiana tanto colto quanto facoltoso, che vuole
restare anonimo. Ma accanto a Wilson c'è anche Claudio
Paolinelli, già docente di Storia della Ceramica all'Università
urbinate. Lo studioso spiega come molti pezzi in esposizione
siano preziosi piatti istoriati, frutto della nuova tecnica
rinascimentale di dipingere su tutta la maiolica, come fosse una
tela, delle vere e proprie 'istorie' in forma di narrazione, con
immagini laiche, bibliche o mitologiche, che superano le vecchie
decorazioni geometriche e floreali della tradizione precedente,
creando un nuovo stile.
Da questo momento i piatti smettono di essere semplicemente
dei begli oggetti su cui mangiare, ma diventano vere e proprie
opere d'arte, spesso firmate, da esporre nelle credenze come
status symbol di chi le possiede o da regalare ad amici
influenti. Tra queste, quelle di Nicola da Urbino, di cui i
musei italiani e quelli più importanti del mondo conservano solo
rarissime testimonianze, e di cui la mostra offre ben quattro
reperti, e le opere di Francesco Xanto Avelli, originario di
Rovigo, ma attivo ad Urbino intorno al 1530. A lui è dedicata
una bacheca con una dozzina di piatti firmati, alcuni dei quali
riportano sul retro citazioni filosofiche e politiche per
offrire ai commensali spunti di discussione. Ma ci sono anche le
maioliche di Francesco Durantino, che proseguì questa
tradizione, fino a quelle delle botteghe urbinati dei Fontana
dei Patanazzi, che testimoniano insieme ad altre la ricca
produzione delle botteghe del Ducato, di cui l'esposizione
'riporta a casa' per la prima volta alcuni esempi, dopo la
dispersione e la vendita nell'800 di gran parte dei suoi
capolavori a privati e musei di tutto il mondo. Completano la
mostra, aperta fino 13 aprile, maioliche del '400 e '500 di
Faenza, Firenze, Castelli d'Abruzzo, Venezia, Gubbio e Deruta,
eseguite queste ultime mettendo nei colori sali metallici per
renderle iridescenti e lucide. Tecnica introdotta da Mastro
Giorgio Andreoli da Gubbio un altro grande 'artigiano'del Ducato
di Urbino che comprendeva allora anche Gubbio.
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