"Il coil che trasportavo non si è
staccato prima del crollo, lo avrei sentito. Secondo me cercano
un capro espiatorio ma la bobina non ha alcuna responsabilità".
Così il camionista Giancarlo Lorenzetto sentito durante il
processo per il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43
vittime). Lorenzetto è stato indicato dalla procura come teste
proprio per confutare una delle tesi avanzate da alcuni
difensori degli imputati: una delle concause della tragedia
sarebbe stata la caduta della bobina da 300 tonnellate
trasportata dal camionista dall'Ilva a Novi Ligure.
"Quella mattina - ha raccontato in aula - c'era un po' di
coda e pioveva, uscito dalla galleria ero sulla corsia di
destra. A un certo punto mi è crollato l'asfalto davanti, ho
sentito un risucchio dietro e sono finito giù. Per fortuna non
mi sono fatto nulla, solo qualche botta. Da un punto di vista
psicologico è stato invece complicato, sono stato in cura per
oltre sei mesi".
Oggi hanno concluso l'esame i consulenti dei pm. L'ingegnere
Renato Buratti ha spiegato come per fare "i controlli in cima
alle antenne sarebbe servita una struttura fissa realizzata ad
hoc, con una scala per salire fino alla sommità". Alcuni
difensori hanno sollevato dubbi sulla conservazione dei reperti
nell'hangar, sostenendo che l'umidità e le infiltrazioni di
acqua avrebbero forse accelerato la corrosione. "Assolutamente
no - ha concluso Buratti - visto che i reperti coperti da
pesante nylon e non toccavano terra". Sono 58 le persone
imputate le persone imputate tra ex dirigenti e tecnici di Aspi
e Spea (la controllata che si occupava dei controlli e
manutenzioni), dirigenti del ministero delle Infrastrutture e
del Provveditorato. Le due società sono uscite dal processo
patteggiando circa 30 milioni.
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